Inizia domenica prossima il viaggio di Papa Francesco in America Latina. Tre Paesi – Ecuador, Bolivia e Paraguay – sette trasferimenti aerei, ventidue discorsi, migliaia e migliaia di persone in gioiosa attesa. La visita di Papa Francesco in America Latina, nono viaggio internazionale del pontificato, dal 5 al 13 luglio, avrà come tema unitario la gioia di annunciare il Vangelo e si preannuncia carico di aspettative, come spiega il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, intervistato da Barbara Castelli del Centro Televisivo Vaticano:
R. – Credo che per capire l’importanza di questo viaggio, che è il più lungo del Pontificato, forse dobbiamo riferirci alle stesse parole del Papa: quelle parole da lui pronunciate in San Pietro, nella Basilica di San Pietro, il 12 dicembre dello scorso anno, in occasione della solennità di Nostra Signora di Guadalupe. Il Papa riprendeva la famosa espressione del suo predecessore, San Giovanni Paolo II, quando definiva l’America Latina il continente della speranza. E spiegava così, cito le sue stesse parole: “Perché il continente della speranza? Perché da essa si è attendono nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia ed equità con riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana, sofferenza feconda con gioia speranza”. Questa è un po’ la fisionomia dell’America Latina e anche dei tre Paesi che il Santo Padre si appresta a visitare.
D. – Il Documento di Aparecida ha in sé i punti salienti del Magistero di Papa Francesco: il primato della grazia, la misericordia, il coraggio apostolico… Quale ruolo gioca o può giocare questa parte di mondo nella Chiesa e quali impulsi può offrire alla politica mondiale?
R. – Sì, il continente latino-americano è un continente in movimento, dove sono presenti trasformazioni, cambiamenti a livello culturale, a livello economico, a livello politico. Durante questi decenni ha potuto godere di una fase molto positiva, che ha permesso a molte persone di emergere dalla povertà, di emanciparsi dalla miseria e dalla povertà estrema e di incorporarsi progressivamente anche nel ceto medio. D’altra parte, ci sono anche accentuati fenomeni di urbanizzazione – ad esempio, se pensiamo alle megalopoli dell’America Latina – e altri fenomeni legati un po’ alla globalizzazione, che si percepisce in modo evidente anche in questa parte del mondo. Allora, di fronte a questi scenari che portano anche a una progressiva secolarizzazione della società latino-americana, anche se in forme che non sono semplicemente omologabili con la secolarizzazione del mondo occidentale, ecco di fronte a questi nuovi scenari la Chiesa ha scelto la via della conversione pastorale, ha scelto la via della missionarietà, dell’impegno missionario e, in questo senso, può diventare anche paradigmatica per molte altre parti del mondo. E direi che questo è il contributo e lo vediamo anche nel Magistero del Papa: questo Magistero che fonda le sue radici proprio su Aparecida e che viene proposto oggi all’intera Chiesa universale. E da un punto di vista politico, direi che l’America Latina può essere vista come un vero e proprio laboratorio, dove si stanno cercando e si stanno sperimentando nuovi modelli di partecipazione, forme più rappresentative che diano voce anche a delle fasce di popolazione che fino ad ora – forse – non erano state sufficientemente ascoltate. E una via è la ricerca di una via propria alla democrazia, che tenga conto delle peculiarità di questi Paesi e che sappia coniugare la partecipazione di tutti: quindi il pluralismo; quindi le libertà, le libertà fondamentali; e quindi il rispetto dei diritti umani.
D. – In Ecuador, la Chiesa gioca un ruolo fondamentale nella formazione della società civile, soprattutto ponendosi come coscienza critica di fronte ai sempre ricorrenti tentativi di minare l’istituzione della famiglia e la sacralità della vita. Quali sono le difficoltà che incontra oggi la Chiesa ecuadoriana e cosa si aspetta da questo viaggio?
R. – La Chiesa – in generale – continua a esercitare un ruolo profetico di fronte a quelle che il Papa stesso ha definito le ‘colonizzazioni ideologiche’, vale a dire questi tentativi di imporre modelli, che non solo non sono adatti all’ethos e alle tradizioni delle popolazioni, ma molte volte tendono proprio a sovvertirli. E un po’ il fronte della famiglia e della vita; è il fronte principale in cui queste colonizzazioni ideologiche cercano di imporsi. Allora la Chiesa dovrà continuare a predicare il Vangelo, che è appunto una buona notizia anche nei confronti della famiglia e della vita, in questa situazione in cui si trova. Ed è anche il compito della Chiesa in Ecuador. L’anno scorso, nel 2014, i vescovi hanno pubblicato una lettera pastorale in cui hanno cercato di descrivere quale sia il ruolo della Chiesa nella società e hanno cercato di definire anche cosa si intenda per una sana laicità, per una vera laicità. La Chiesa domanda soltanto la possibilità di esercitare la propria missione, che contribuisce al bene della società, che contribuisce al dibattito democratico, che contribuisce alla promozione di ogni persona umana e soprattutto dei gruppi più vulnerabili.
D. – In Bolivia, Papa Francesco sarà accolto dal presidente Evo Morales, con il quale condivide diverse preoccupazioni: pensiamo – ad esempio – all’attenzione ai poveri, in un contesto mondiale dominato dalla finanza; e alla tutela ambientale. Sarà l’occasione per ribadire le responsabilità della comunità internazionale?
R. – Il Papa lo ha già espresso in molti suoi interventi e soprattutto nell’ultima Enciclica, Laudato si’. Ed allora quali sono questi inviti? L’invito alla salvaguardia del creato, della ‘casa comune’, come la chiama il Papa; l’invito alla giustizia sociale; l’invito a ricercare una pace che sia rispettosa dei diritti di tutti; l’invito a una società che sia più inclusiva dei poveri, alla lotta contro le forme estreme di povertà perché sia riconosciuta la dignità di ogni persona; e poi anche il rispetto di quella che è l’identità culturale di ogni Paese, contro questa tendenza della globalizzazione a uniformare tutto; e di evitare che anche i rapporti sociali siano commercializzati, ma rimangano con la loro caratteristica di ricchezza di ogni partecipante.
D. – Infine, la terza tappa del viaggio, il Paraguay, dove Papa Francesco sarà un pellegrino – un “missionario” hanno detto i vescovi del Paese annunciando la visita – che desidera accompagnare il popolo nel suo triennio dedicato all’evangelizzazione della famiglia. Dunque, la famiglia torna a essere al centro dell’attenzione…
R. – In questo caso ritorna proprio questa centralità della famiglia. Il Papa si inserisce nel cammino delle Chiese locali. Anche qui vuole mettersi al fianco della Chiesa del Paraguay nel suo itinerario catechetico e missionario, che in questo triennio sarà centrato soprattutto sulla famiglia. Una famiglia che rispecchia la famiglia latinoamericana, quindi che ha tanti valori. Per esempio, in Paraguay le famiglie sono ancora solide e numerose, è uno dei paesi più giovani del mondo. E poi vorrei sottolineare anche l’impegno del Paese proprio a livello costituzionale per il rispetto della vita, dal suo inizio alla sua fine, ma che naturalmente presenta anche tante debolezze. Per esempio, le famiglie unigenitoriali, dove la mamma è sola e praticamente porta tutto il peso della famiglia; il tema della disoccupazione o della sottoccupazione, che evidentemente compromette la stabilità e la vita normale delle famiglie; il tema anche della droga, che destabilizza molte famiglie. Ebbene, di fronte a questa situazione, il Papa vuole essere una presenza di vicinanza a tutte le famiglie, soprattutto a quelle che soffrono per uno di questi motivi e di incoraggiamento per andare avanti.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana