DOPO TOR SAPIENZA – Il vescovo ausiliare di Roma, settore Est, monsignor Giuseppe Marciante: “Gli scontri sono frutto della rabbia della gente che si sente abbandonata dalle istituzioni. Non credo che alla base di tutto ci siano forme di razzismo, ma solo tante criticità irrisolte e sedimentate. La parrocchia deve continuare nell’opera di mediazione senza avere la pretesa di sostituirsi agli enti preposti”.
“Non cedere alla tentazione dello scontro, respingere ogni violenza”. È l’invito che Papa Francesco ha rivolto, domenica, dopo la recita dell’Angelus, da piazza San Pietro, facendo riferimento alle “tensioni piuttosto forti tra residenti e immigrati” che si sono registrate in questi giorni a Roma, a Tor Sapienza, periferia est di Roma, a due passi dal Grande Raccordo Anulare. Fatti che, per il Pontefice, “accadono in diverse città europee, specialmente in quartieri periferici segnati da altri disagi. Invito le Istituzioni, di tutti i livelli, ad assumere come priorità quella che ormai costituisce un’emergenza sociale e che, se non affrontata al più presto e in modo adeguato, rischia di degenerare sempre di più”. Anche la comunità cristiana, ha ricordato il Papa, deve impegnarsi “in modo concreto perché non ci sia scontro, ma incontro. Cittadini e immigrati, con i rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi, anche in una sala della parrocchia, e parlare insieme della situazione”. “L’importante – ha concluso Bergoglio – è non cedere alla tentazione dello scontro. È possibile dialogare e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica e inclusiva”.
A scuotere Roma, diocesi di cui il Pontefice è vescovo, non sono conflitti lontani ma tensioni e violenze che sono esplose a poca distanza da san Pietro. Il centro di accoglienza per richiedenti asilo, di viale Morandi, 83 ospiti arrivati da Pakistan, Mali, Etiopia, Eritrea, Afghanistan, Mauritania ed …Etiopia, di cui 45 minori e tra loro anche alcuni italiani con grave disagio, è stato fatto oggetto di un fitto lancio di sassi e bottiglie con gravi danneggiamenti all’immobile. La parola d’ordine, “via gli immigrati” è risuonata in tutto il quartiere, tra i suoi palazzoni, strada per strada, anche se gli abitanti non vogliono essere definiti razzisti. L’elenco delle cose che non vanno nel quartiere è lungo e comprende anche i rom ospiti delle baracche circostanti che vagano nelle strade rovistando nei cassonetti, slavi che rubano, romeni che occupano appartamenti, come rendicontano alla stampa i cittadini. Le vecchie e nuove promesse della politica, dalle aree verdi all’auditorium, si sono sciolte come neve al sole. Resta l’amarezza della beffa e la rabbia dei residenti verosimilmente strumentalizzata da chi nel degrado sociale e morale trae tornaconto, anche politico. Lo hanno detto a chiare note al sindaco di Roma, Ignazio Marino, che si è recato, il 14 novembre, nel quartiere per parlare e ascoltare le richieste dei cittadini. Lo hanno chiamato “l’incontro del Lory Bar”, un locale del quartiere, dove tra tavoli e tazzine di caffè, gli abitanti hanno ribadito le loro richieste al Primo Cittadino, “cacciare nomadi, trans e immigrati”. Questi ultimi hanno affidato a una lettera aperta la loro risposta: “Abbiamo sentito dire molte cose su di noi: che rubiamo, che stupriamo le donne, che siamo incivili, che alimentiamo il degrado del quartiere dove viviamo. Queste parole ci fanno male. Non siamo venuti in Italia per creare problemi. Anche noi viviamo i problemi del quartiere, esattamente come gli italiani; ma ora abbiamo paura per la nostra vita. Non possiamo tornare nei nostri Paesi, dove rischiamo la vita, e così non siamo messi in grado nemmeno di pensare al nostro futuro. Non vogliamo continuare con la divisione tra italiani e stranieri”.
L’esortazione di Papa Francesco chiama la parrocchia san Cirillo Alessandrino, di viale Morandi, a un ulteriore impegno per fronteggiare la violenza e favorire l’incontro. Quasi un anno fa Papa Francesco volle iniziare proprio da qui il cammino d’Avvento 2013. In quell’occasione il parroco, don Marco Ridolfi, aveva commentato che “la visita del Papa ha rafforzato il nostro dialogo”. Ma adesso serve uno scatto in avanti. Ma come? “La parrocchia deve essere un’antenna – spiega al Sir il vescovo ausiliare di Roma, settore Est, monsignor Giuseppe Marciante – nel captare le criticità e i conflitti sociali per segnalarli ai servizi del territorio. Possono anche creare dei laboratori per l’integrazione sociale e la promozione di attività culturali come la valorizzazione delle aree verdi, la conoscenza del patrimonio storico del territorio, così pure stimolare gli enti pubblici a implementare i servizi del quartiere, in particolare il recupero del patrimonio edilizio e il miglioramento del trasporto pubblico, per non parlare dell’occupazione giovanile che è un problema nazionale”. La parrocchia, ribadisce il vescovo, “è chiamata a vivere il Vangelo, dunque a ospitare i forestieri, aiutare chi è povero. Queste sono opere di inclusione che la vedono porsi come luogo privilegiato di incontro”. Gli scontri di questi giorni, per mons. Marciante, “sono frutto della rabbia della gente che si sente abbandonata dalle istituzioni. Non credo che alla base di tutto ci siano forme di razzismo, ma solo tante criticità irrisolte e sedimentate. Per contribuire a evitare che la violenza esploda di nuovo, la parrocchia deve continuare in quest’opera di mediazione senza avere la pretesa di sostituirsi agli enti preposti. Essere un ponte tra istituzioni e il quartiere nel quale la parrocchia rappresenta un presidio di accoglienza e di legalità”. di Daniele Rocchi per Agensir