Parroco Aleppo: ‘Emorragia continua di siriani, gente stremata’

Ribadita l’urgenza di una transizione che allontani Assad ma senza favorire il terrorismo. Intanto continua la fuga di migliaia di siriani stretti tra la controffensiva del regime, sostenuta dai raid russi, la resistenza dei ribelli e l’avanzata del cosiddetto Stato Islamico.

Il Cremlino rivendica il suo intervento contro l’Is che pianifica la destabilizzazione dell’area ma le Ong siriane denunciano che su 370 vittime dei raid, in un mese circa, sono solo 52 i jihadisti morti e invece 127 i civili. Aleppo è una delle città più devastate dal conflitto. Da qui arriva la testimonianza di fra Ibrahim Alsabagh parroco della città, al microfono di padre Vito Magno:

R. – La vita è difficile, per non dire assurda. E’ vero che l’ultimo intervento  con i bombardamenti dei russi ha migliorato la situazione, nel senso che arriva più acqua, più elettricità e non ci sono i bombardamenti dei jihadisti sulle abitazioni, però si continua a vedere sofferenza ovunque. La gente vive sotto la soglia della povertà, non ce la fa più e lentamente fugge dal Paese in una emorragia continua …

D. – Quale il peso di questa situazione sulla Chiesa?

R. – Tutti i nostri uffici si sono trasformati in una Caritas parrocchiale, anche a livello delle segreterie. La nostra preoccupazione primaria è come incontrare la gente, ascoltare e anche come soccorrere loro. Arrivano con certi casi di disperazione, di sofferenza … con gli ultimi bombardamenti bussavano alla porta e dicevano: “Guarda, adesso sono senza casa”. Un altro padre di famiglia mi diceva: “Abbiamo riparato per due volte la casa che è stata bombardata, ma adesso non ce la faccio più!”. E’ una cosa molto, molto al di là delle nostre forze personali.

D. – E gli aiuti dalle altre Caritas, dalla Conferenza episcopale italiana?

R. – Noi sentiamo questa presenza in diversi modi. C’è una bellissima collaborazione anche con gli ortodossi, anche con alcune comunità protestanti, ci mettiamo tutti insieme per aiutare. Dall’altra parte, c’è la sensibilità bellissima di tante parrocchie, di tanti cristiani, di associazioni che spinti dallo Spirito Santo ci aiutano un po’ per soccorrere questa gente. Sicuramente c’è tanto da fare, qui …

D. – Ci sono delle chiese distrutte …

R. – Sicuramente oggi abbiamo oltre un centinaio di chiese distrutte: ma non è quello che ci colpisce. Quello che ci fa paura è vedere il tempio di Dio, che è l’uomo e la famiglia che vengono distrutti a causa di questo male, il “peggior male che l’umanità ha conosciuto”, come diceva il Santo Papa Giovanni Paolo II, che è la guerra. Gli edifici si possono sempre ricostruire; abbiamo paura soltanto quando sentiamo quanto il male, a causa di questa guerra, influisca sull’uomo. Quindi, noi non vogliamo salvare le pietre: vogliamo salvare l’uomo e vogliamo salvare la famiglia.

D. – Quanti suoi parrocchiani sono emigrati?

R. – Negli ultimi tre mesi è emigrato il 9% della mia parrocchia.

D. – Pensano, però, di ritornare? Oppure no?

R. – Nel vedere un po’ di miglioramento, con questo intervento-bombardamento dei russi, quelli che stanno fuori – diversi di loro, penso – sono pronti a ritornare. Però, diversi si sono ormai stabiliti all’estero e penso che non torneranno mai più.

D. – E i giovani?

R. – Questa è la nostra piaga: ormai, a causa della paura del servizio militare, quasi tutti i nostri giovani maschi sono fuggiti o stanno per fuggire. Il problema è questo squilibrio umano che si è creato nella società. Anche quando ci sono i matrimoni, l’uomo lascia la famiglia e va per aprire una via: questo implica una “separazione di fatto” che dura però anche diversi anni, e in diversi casi influisce sulla continuità del matrimonio.



Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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