P. Manawel Musallam racconta ad AsiaNews le condizioni in cui vive la popolazione nella Striscia dopo quattro settimane di bombardamenti. Bambini e adolescenti feriti “nel fisico e nello spirito”, incapaci di “provare gioia, parlare di pace e offrirla all’altro”. Con le sue azioni Israele “non sta solo distruggendo l’umanità della gente di Gaza, ma anche quella del suo popolo”.
“Quello che la popolazione di Gaza ha subito in queste settimane è paragonabile al lancio di una bomba atomica. Le esplosioni di massa contro questa terra hanno trasformato più di mezzo milione di persone in rifugiati, ancora una volta. Non hanno più una casa, né un luogo dove andare. Le loro esistenze sono state spazzate via”. A parlare adAsiaNews è p. Manawel Musallam, parroco della Santa Famiglia a Gaza e preside di una scuola nella Striscia. Proprio oggi Israele e Hamas hanno avviato una nuova tregua di cinque giorni, già “macchiata” però, questa notte, da un raid aereo da parte di Tel Aviv, in risposta a razzi di Hamas. Un cessate il fuoco ancora una volta appeso a un filo, nel quale il sacerdote non ripone grande speranza.
Osservando le sofferenze patite dalla gente di Gaza, p. Musallam parla soprattutto dei bambini e dei ragazzi. “Per 14 anni – racconta ad AsiaNews p. Musallam – ho diretto una scuola nel quartiere di Shejaiya. La maggior parte dei nostri studenti abitava proprio lì. Nelle scorse settimane, Shejaiya è stata distrutta: molti ragazzi sono stati uccisi, altri feriti. Alcuni sono rimasti orfani e sono stati portati via; altri hanno visto morire i propri fratelli. Ora io chiedo: se mai torneranno a scuola, in che condizioni saranno questi ragazzi? Riusciranno a studiare, cantare, leggere, danzare, scrivere?”.
Il dolore dei giovani palestinesi, sottolinea il sacerdote, “è una ferita fisica, mentale e spirituale. Dal 2007 a oggi hanno vissuto quattro guerre in appena sette anni. Reagire in modo positivo a una realtà del genere è impossibile. Sono in grado di provare gioia nei loro cuori? Possono parlare di pace e offrirla all’altro? Sono preparati ad amare, avere compassione e accettare Israele? Come possiamo convincere questi ragazzi a non odiare gli israeliani, a spiegare loro della possibilità di convivere con Israele, se questo continua a colpirli?”.
Nella striscia di Gaza abitano 2 milioni di persone: metà della popolazione dell’intera Palestina. Vivere da anni “come rifugiati”, senza la possibilità di condurre un’esistenza normale, con la minaccia costante di un nuovo conflitto, ha creato “una difficoltà spirituale e mentale”. I palestinesi, spiega p. Mulallam, “stanno rifiutando l’esistenza di Israele alle loro spalle. Si chiedono in nome di quale qualità o virtù umana potrebbero accettare la presenza di questo Stato. Nella Bibbia il profeta Osea dice ‘Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà’. Ma Israele non sta seminando giustizia, macchiata come è del sangue di donne e bambini, senza rispetto per il diritto alla vita di queste persone, distruggendo ogni cosa in modo indiscriminato”.
Con le sue azioni, nota il parroco, “Israele non si rende conto che non sta solo distruggendo l’umanità della gente di Gaza, ma anche quella del suo popolo. Tutti i soldati che stanno combattendo, cosa diranno ai loro bambini, alle loro mogli e ai loro genitori quando torneranno a casa? Che hanno ucciso altri bambini, e madri, e genitori? Che hanno distrutto case e hanno gettato nella miseria più totale intere famiglie? Come potranno parlare di pace alle loro famiglie? Prenderanno coscienza [di quello che hanno fatto], perché non potranno parlare di pace. Perché la pace non può essere costruita o accettata nella miseria, nell’umiliazione dell’altro, nel terrore, nella paura, nella distruzione. La pace si costruisce solo sulla pace. La pace può dare sicurezza, non il contrario. La guerra non può creare pace”.
Alla luce di questo, per p. Musallam è difficile confidare nel buon esito della tregua in corso. Anche per colpa dell’atteggiamento della comunità internazionale. “Possiamo – dice – essere grati per le manifestazioni in segno di solidarietà alla nostra condizione, ma non possiamo perdonare il silenzio. Gaza non può essere bloccata per sempre e la sua gente non può essere lasciata in queste condizioni per sempre: stremata dalla fame, dalla rabbia, dalla paura”.