Lasciatemi la possibilità di credere che sia colpa dell’ignoranza: nel Miranese, dopo la prima confessione, il parroco ha fatto capire alla mamma che il figlio, nonostante avesse preso parte al catechismo, non era in grado di fare la prima comunione perché non ne capiva il significato. Motivo? è autistico. Per fortuna che un’altra parrocchia ha dato il suo benestare e, a fine aprile, il bambino riceverà il sacramento.
Lasciatemi crogiolare nell’idea che il parroco, di cui non so il nome – ed è meglio così – non conosca l’autismo. Il fatto è che il bambino autistico ha delle nicchie in cui capisce tutto. Vi ricordate Dustin Hoffman in Rain Man? Lui era un Asperger e quindi molto bravo, ma un autistico ha delle cadute nelle quali non capisce nulla o capisce tutto diverso. In realtà, anche se ogni bambino autistico è un caso a sé, tutti, tutti hanno assoluto bisogno di imparare a vivere perché il loro vero problema, più che l’aspetto cognitivo, è l’aspetto della relazione sociale.
L’autismo è la malattia delle relazioni, del tuo mondo che non comunica col mio. Chi ne soffre si trova in un mondo chiuso, senza connessione, senza il tasto invio per entrarci. Non sappiamo cosa c’è dentro. Questo è il punto, parroco: non lo sai. E se non lo sai, come fai a dire che non coglie il significato? E allora ci vuole delicatezza. Per un bambino e la sua famiglia. Che s’imbufalisce davvero con queste cose e perde la fede, loro sì, tutta quella che gli era rimasta. Delicatezza per un bambino chiuso in un mondo che non ha porte ma ha una finestra da cui può sbirciare il mondo dei altri e capirli forse meglio di quanto facciamo noi. Questi bambini nascono senza il manuale delle istruzioni e bisogna fare di tutto per fornirglielo. Il modo migliore – lo dico in soldoni – è dar loro i parametri della normalità.
Tutti gli appuntamenti della classe elementare in cui stanno, devono essere i loro. Tutti: la gita scolastica, andare a teatro, in pizzeria. Una bambino che assiste a Il giardino dei ciliegi di Cechov non può fare la prima comunione dopo due anni di catechismo? So bene che per ricevere l’eucarestia si deve “sapere e pensare Chi si va a ricevere”, cioè credere nella presenza reale di Gesù nel pane consacrato (cfr CCC 1406-1419) ma so anche che Papa Francesco il 25 maggio 2013 a santa Marta ha detto che “i cristiani non devono mai trovare le porte chiuse” e che non si deve “istituire l’ottavo sacramento, quello della dogana pastorale”.
Chi di noi sa – sa veramente – cos’è la transustanziazione, cioè il dogma cattolico per cui sotto le apparenze di un pezzo di pane c’è realmente un Dio-Uomo con tutta la sua storia, la sua umanità e divinità, il suo amore e la sua morte e resurrezione? A Gesù bastava un dito per sciogliere una lingua, la saliva per aprire gli occhi. Non voleva prove per sapere se avevi capito la Grazia che Lui c’era davvero. Ci metteva Lui il necessario per aprire le nostre bocche chiuse, i nostri occhi ciechi. Ma a noi, sembra non bastare l’amore di una madre, il cuore di un bambino, il catechismo con gli amichetti. Sembra che diciamo: se non vedi già non ti do la vista, se non parli già non ti apro la bocca. Forse è perché non glielo abbiamo dato, noi, a Dio, il nostro dito, la nostra saliva.
Di don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost