La morte e la malattia si accaniscono sui bambini e sugli anziani tra le migliaia di famiglie di rifugiati sparpagliate nella regione curda, le quali hanno perso tutto a causa dei recenti, tragici sviluppi; le milizie dell’Isis continuano la loro avanzata e gli aiuti umanitari sono insufficienti.
Vi sono almeno 70mila sfollati cristiani ad Ankawa, assieme a membri di altre minoranze religiose di questa città che ha una popolazione cristiana locale di oltre 25mila cristiani. Le famiglie che hanno trovato accoglienza nelle chiese o nelle scuole sono in condizioni soddisfacenti, mente quanti dormono tuttora per le strade o nei parchi pubblici sono in una situazione deplorevole…
A Dohuk, il numero dei rifugiati cristiani ha superato i 60mila e la loro situazione è persino peggiore a quella di Erbil. Vi sono inoltre famiglie che hanno trovato riparto a Kirkuk e Sulaymaniyah, così come alcuni sono riusciti ad arrivare anche fino alla capitale, Baghdad.
Nel frattempo, cresce in maniera esponenziale il fabbisogno di beni di prima necessità: alloggio, cibo, acqua, medicine e fondi; la mancanza di un coordinamento internazionale sta rallentando e limitando la realizzazione di una effettiva assistenza a quelle migliaia di persone che attendono un sostegno immediato. Le chiese, per quanto è nelle loro possibilità, stanno mettendo a disposizione tutto ciò che hanno.
Ricapitolando la situazione dei villaggi cristiani attorno a Mosul e fino ai confini della regione curda: le chiese sono state svuotate e profanate; cinque vescovi sono al di fuori delle rispettive diocesi, i sacerdoti e le suore hanno abbandonato istituti e missioni, lasciandosi ogni cosa alle spalle, le famiglie sono fuggite con i loro bambini, e lasciandosi tutto il resto dietro di sé! Il livello del disastro è estremo.
La posizione del presidente statunitense Barack Obama di fornire solo assistenza militare per proteggere Erbil è deludente. E le continue voci di divisioni dell’Iraq rappresentano una ulteriore fonte di minaccia. Gli americani non sembrano voler garantire una soluzione rapida, che sia fonte di speranza, perché non intendono attaccare l’Isis a Mosul e nella piana di Ninive. La conferma che questa situazione terribile è destinata a continuare fino a che le Forze di sicurezza irakene non combatteranno a fianco dei Peshmerga (curdi) contro le milizie Isis è deprimente. Il presidente della regione autonoma del Kurdistan ha affermato che le truppe curde stanno combattendo contro uno Stato terrorista e non contro gruppi minoritari! Mentre il Paese è sotto il fuoco incrociato, i politici a Baghdad continuano a combattere per il potere.
Alla fine fine, pare probabile che Mosul non verrà liberata e nemmeno i villaggi della piana di Ninive. Non vi è alcuna strategia concreta per inaridire le fonti di potere le risorse di questi terroristi islamici. Essi controllano la città petrolifera di Zimar e i giacimenti petroliferi di Ain Zalah e Batma, assieme a quelli di Al-Raqqa e Deir ez-Zor in Siria. I combattenti estremisti islamici si stanno unendo a loro da tutte le parti del mondo.
La scelta delle famiglie di rifugiati:
Migrare: dove dovrebbero andare e con quali soldi e documenti?
Restare: nelle tendopoli e nei campi di rifugiati, in attesa che finisca l’estate e arrivi l’inverno? Saranno forse riaperte le scuole e potranno i bambini frequentare le scuole elementari, e i più grandi le superiori o l’università? Saranno accolti con favore nelle scuole di Erbil, Duhok e Sulaymaniyah? Qual è il futuro delle proprietà e dei beni di appartenenza, unitamente ai lavori di un tempo, per queste migliaia di persone innocenti costrette a fuggire nella notte dai loro amati villaggi?
Vi sono domande che dovrebbero infliggere dolori terribili alle coscienze di ciascuna persona o istituzione, perché si faccia davvero qualcosa per salvare queste persone, la cui storia è radicata in questa terra fin dalle origini.
Di di Louis Raphael I Sako* per Asianews
* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena