Nessun reato. Inchiesta chiusa. Barbarin è innocente. Le accuse di insabbiamento di abusi sessuali che avevano travolto lo scorso anno come un ciclone il cardinale di Lione si sono rivelate una bolla di sapone. Un comunicato della chiesa francese, diffuso ieri 11 luglio, rende noto di «aver ufficialmente preso conoscenza del decreto di archiviazione emesso l’11 dicembre 2016 dal procuratore della Repubblica di Lione a beneficio del cardinale Philippe Barbarin, non avendo l’inchiesta riscontrato alcuna infrazione penale da parte dell’interessato».
L’indagine preliminare era stata aperta nel febbraio 2016: Barbarin era finito nel mirino della giustizia per aver coperto due preti pedofili che avevano tormentato bambini e adolescenti tra gli anni ’70 e ’90, decenni prima della sua nomina a pastore di Lione (e primate delle Gallie). Contro Barbarin anche una denuncia per «messa in pericolo della vita altrui e provocazione al suicidio».
Il cardinale – personalità stimata da vescovi e fedeli d’Oltralpe, come pure a Roma dove si era reso noto alle cronache del Conclave 2013 per i suoi giri in bicicletta – aveva da subito espresso il suo «dolore» nel vedersi accusato in maniera così «ingiustificata». Ora – si legge nella nota di ieri della diocesi francese – «si congratula con la magistratura che ha portato un po’ di verità e di pace dopo le polemiche appassionate e talvolta diffamatorie». Ovvero le accuse di copertura e omertà mosse da un gruppo di vittime e di loro familiari, il cosiddetto collettivo Parole Liberée, che, con il sostegno di avvocati, psicologi e altre associazioni cattoliche, chiedeva le dimissioni del prelato.
Il rimprovero più grave era il provvedimento tardivo nei confronti del 71enne padre Bernard Preynat, descritto dalle vittime – tre ex scout che, dopo decenni di silenzi e paure, avevano trovato il coraggio di denunciare le violenze subite – come «un vero e proprio predatore» che «attaccava soprattutto ragazzini fra gli 8 e i 12 anni, biondini e con gli occhi blu». Le segnalazioni a carico di padre Preynat che avevano dato il via alle indagini erano circa 55 in totale. Torchiato dagli inquirenti, il religioso aveva confessato tutti gli abusi sui giovani della sua parrocchia, inclusi stupri mai denunciati.
Per anni un gruppo di madri aveva chiesto la rimozione del prete pedofilo. Ma nessuno aveva ascoltato il loro grido, nemmeno il cardinale Barbarin nonostante – dicevano – nel 2007 «ebbe pubblicamente conoscenza dei fatti». Preynat fu sospeso solo nel maggio 2015, dopo che Barbarin aveva ricevuto l’anno prima «la testimonianza diretta di una vittima di fatti prescritti» e «ottenuto il parere di Roma». La sospensione era giunta prima ancora della denuncia della vittima alla giustizia, ma tredici anni dopo i misfatti. Troppo tardi secondo i membri della Parole Liberée che inviavano perciò lettere a Santa Marta per ottenere un mea culpa vaticano e la defenestrazione del cardinale.
Il quale aveva risposto serenamente alle accuse con una nota in cui si diceva «consapevole della estrema gravità delle accuse imputate al prete incriminato», ma ricordava «che al momento dei fatti non era arcivescovo di Lione e che non ha mai coperto alcun fatto di pedofilia». Si era quindi trovato nel 2007/2008, al momento della sua nomina, «informato del passato di questo sacerdote», le cui azioni precedenti al 1991 erano già state trattate, nelle rispettive epoche, dai tre predecessori. «Convinto che il prete avesse rotto con il passato, è stato poi rinnovato nella missione che gli avevano dato i suoi predecessori». Barbarin assicurava inoltre che avrebbe collaborato pienamente con la giustizia e che avrebbe fornito agli inquirenti «tutte le informazioni a loro disposizione per far luce su questi eventi la cui complessità e lontananza storica richiedono un approccio prudente».
A febbraio, però, una nuova tempesta si era abbattuta sul porporato: l’accusa era di «non aver denunciato un’aggressione sessuale e non aver assistito la persona in pericolo in relazione ai fatti imputati a padre Jérôme Billioud nel 1990 e 1993», anche lui colpevole di abusi. Per questo caso in particolare il tribunale di Lione ritiene che non vi sia stata «alcuna violazione» perché il cardinale, incontrando un’unica volta nel 2009 il superstite, un alto funzionario del Ministero dell’Interno, aveva consigliato «a quest’uomo, maggiorenne, di sporgere denuncia». Cosa che in effetti avvenne poco dopo. Il caso era stato dunque già archiviato dalla giustizia.
La mancata colpevolezza di Barbarin in queste vicende oscure della Chiesa francese era già emersa nell’interrogatorio dell’8 giugno 2016 svolto in regime di audizione libera, non in stato di fermo. Tuttavia gli attacchi pubblici erano proseguiti per quasi un anno, tra questi una rovente intervista dell’allora premier francese Manuel Valls alla radio RMC, in cui affermava che il cardinale Philippe Barbarin «dovrebbe assumersi le proprie responsabilità, parlare e agire». «Se questo dibattito riguardasse il preside di una scuola che cosa avremmo detto? Saremmo stati implacabili» dichiarava il primo ministro, a maggior ragione «un uomo di chiesa, cardinale, primate delle Gallie, che ha un’influenza morale, intellettuale, che esercita una responsabilità maggiore sulla nostra società, deve capire il dolore». «Il solo messaggio responsabile che posso far passare, senza prendere il suo posto, senza sostituirmi alla Chiesa di Francia, senza prendere il posto dei giudici» è che Barbarin deve «assumersi le proprie responsabilità, parlare e agire», concludeva Valls.
A controbilanciare queste polemiche l’intervento diretto di Papa Francesco che in un’intervista al settimanale cattolico La Croix del maggio 2016 – qualche giorno prima di ricevere il porporato in udienza privata in Vaticano per 45 minuti – diceva: «È vero che non è facile giudicare i fatti decenni dopo, in un altro contesto. La realtà non è sempre chiara. Ma per la Chiesa, in questo campo, non può esserci prescrizione. Con questi abusi, un sacerdote che ha la vocazione di condurre un bambino verso Dio lo distrugge. Come ha detto Benedetto XVI, la tolleranza deve essere zero. Dagli elementi di cui dispongo – proseguiva Bergoglio – credo che a Lione il cardinale Barbarin ha preso le misure necessarie, ha preso bene le cose in mano. È un coraggioso, un creativo, un missionario. Dobbiamo ora attendere il seguito del processo davanti alla giustizia civile».
La diocesi di Lione – che subito si era schierata dalla parte del suo vescovo, insieme a tutta la Conferenza episcopale francese e al sindaco lionese Gerard Collomb che parlava di «falso processo» – si augura ora che «i media, che avevano ampiamente riportato le accuse del 2016, siano mossi dalla stessa preoccupazione» di informare riguardo la decisione dei giudici di archiviare la denuncia. Da parte sua Barbarin chiede che «siano rispettati i suoi diritti e le decisioni legali che lo riguardano» e ribadisce «il suo profondo sostegno, la disponibilità e la compassione verso tutte le vittime».
Fonte www.lastampa.it/SALVATORE CERNUZIO
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