Eccellenza, la Santa Sede è responsabile dei casi di pedofilia all’interno del clero avvenuti in tutto il mondo dagli anni Cinquanta a oggi? Alcuni dei membri della Commissione forse non hanno chiara la duplice forma con cui la Santa Sede attua le sue responsabilità contro la tortura o contro lo sfruttamento sessuale di minorenni. Nel senso giuridico stretto, la Santa Sede deve applicare la Convenzione nel territorio dello Stato della Città del Vaticano. Ma la missione spirituale universale della Santa Sede, esercitata attraverso il suo insegnamento, il diritto canonico e i provvedimenti pastorali, è molto efficace a creare e sostenere una mentalità corretta per la prevenzione della tortura e la punizione di colpevoli di tale crimine, siano essi laici o preti.
Eppure Ong accreditate alle Nazioni Unite come la Snap, la Rete dei sopravvissuti agli abusi dei preti, sostengono che la Santa Sede è responsabile perché «è difficile immaginare un’organizzazione con una catena di comando più centralizzata e gerarchica del Vaticano». Non è affatto così. I modi con cui la Santa Sede attua la sua responsabilità sono realmente efficaci, anche se differenti. I sacerdoti di un paese non sono impiegati del Papa ma cittadini giuridicamente dipendenti dal paese in cui vivono e che ha diritto di esercitare la sua sovranità senza interferenze esterne.
Anche la Commissione dell’Onu però vi ha messo sotto accusa. Sotto accusa non è la Santa Sede, ma certe interpretazioni tendenziose dei trattati internazionali. Gli Stati si sono dati degli accordi giuridici per rispondere più efficacemente a situazioni di violazione dei diritti umani. La Convenzione contro la tortura (Cat), che la Santa Sede ratificò nel 2002, rientra nel quadro di misure giuridiche internazionali dirette a proteggere la dignità umana. Evidentemente abbiamo lo stesso obiettivo nella nostra attività diplomatica internazionale. Come gli altri Stati membri, anche se con un po’ di ritardo, la Santa Sede ha presentato il suo rapporto agli esperti della Commissione della Cat. Gli abusi sessuali contro minorenni non rientrano però nella definizione di tortura della Convenzione. Essendo essi comunque interpretabili come un comportamento inumano e crudele, in alcuni casi di revisione dei rapporti presentati da altri Stati membri sono stati inclusi negli obiettivi dell’articolo 16 della Convenzione.
I casi di pedofilia, quindi, possono essere definiti una tortura o no? È corretto che la Santa Sede debba discuterne davanti alla Commissione? L’abuso sessuale di minori è una violazione orribile e ributtante della loro dignità e dei loro diritti umani. Nel contesto del diritto internazionale, la definizione di tortura non include questi casi di abuso di minorenni. La Santa Sede ha presentato un rapporto dettagliato sull’argomento alla Commissione della convenzione sui diritti dei bambini lo scorso gennaio. L’argomento però, oltre che trovare un appoggio nella Convenzione, è appetitoso per i media e si capisce quindi come sia ritornato a galla nelle domande poste alla Santa Sede come era stato fatto per altri Stati.
Lei ha affermato che la Santa Sede non vuole affrontare «un confronto basato su alcune asserzioni che alle volte le Ong mettono in forma molto polemica e che sono poi usate come informazioni accurate, anche se qualche volta non lo sono». A che cosa e a chi si riferiva? Un punto che penso sia da chiarire riguarda le misure prese dalla Santa Sede e dalle Chiese locali per punire i crimini di pedofilia e prevenirli. Guardando alla Chiesa, non si può rimanere fossilizzati sul suo passato. L’evoluzione avvenuta con la promulgazione di nuove leggi, di istruzioni ai vescovi del mondo, l’attenzione data alle vittime e simili prese di posizione mostrano chiaramente che una nuova cultura di tolleranza zero verso gli abusi sui minorenni è entrata in vigore.
A leggere i rapporti dell’Onu sembra che non tutti l’abbiano notato. Direi che sarebbe doveroso per organizzazioni ed esperti prendere atto di questa realtà.
Sarebbe, però non succede. La trasparenza adottata dalla Chiesa nel provvedere statistiche e precisazioni su leggi, direttive disciplinari, iniziative di prevenzione, punizioni inflitte e simili decisioni dovrebbe aiutare a capire la serietà ed efficacia che da anni caratterizzano la sua azione nel campo degli abusi sessuali sui minorenni. Si può portare il cavallo all’abbeveratoio ma non si può forzarlo a bere. Mi pare poi scontato che da alcuni la Chiesa sia vista come una barriera che blocca stili di vita e pratiche sociali considerate più moderne ed efficaci per esprimere le libertà individuali, magari dimenticando le conseguenze distruttive che ne derivano per il futuro della famiglia umana. Non vedo però attacchi concertati dall’Onu alla Chiesa, anche se tensioni esistono su alcune questioni etiche importanti e non negoziabili.
Come l’interruzione di gravidanza, ad esempio. I relatori della Commissione hanno affermato che «il divieto di procedere con l’aborto è un atto crudele». Lei cosa ne pensa? È l’aborto ad essere un atto crudele. Lasciare morire dei bambini nati vivi dopo un tentativo di aborto fallito o estrarli a pezzi, smembrati, dall’utero materno mi sembrano forme di tortura molto dolorose. La difesa del diritto alla vita è un’applicazione positiva della Convenzione contro la tortura, che intende appunto eliminare qualsiasi forma di abuso di persone attraverso l’imposizione di sofferenze.
Secondo il Wall Street Journal è in atto un «macroscopico attacco alla libertà religiosa». Quando si parla di questi incontri con gli esperti delle Nazioni Unite bisogna tenere presente anzitutto che essi hanno un ruolo di monitoraggio e non di tribunale. In secondo luogo, che la libertà di opinione e di credo è un diritto fondamentale e inalienabile. Non è certo responsabilità degli esperti dell’Onu dire a uno Stato quello che deve pensare o credere, specialmente se non viene rispettata le legge naturale.
Crede che la Commissione dell’Onu in questione stia cercando di attaccare in modo ideologico la Chiesa cattolica? Presumo che gli esperti della Commissione vogliano procedere in buona fede secondo le loro convinzioni.
Come si spiegano allora questi contrasti così aspri? Alla radice della differenza tra certe posizioni della cultura pubblica dell’Onu e di alcuni governi e quelle della cultura di tradizione cattolica ci sono due antropologie diverse. Due modi diversi, cioè, di vedere la persona umana. Per la dottrina sociale della Chiesa la persona umana non è solo aperta agli altri ma si assume anche la responsabilità delle sue decisioni. Sull’altro versante, invece, c’è una cultura di estremo individualismo che tende a chiudersi in se stessa e a trasformare ogni desiderio in diritto umano.
C’è spazio nell’Onu per uno Stato che ha questa visione dell’uomo? La Santa Sede partecipa all’Onu come ogni altro Stato, con la sua identità e la buona volontà di cooperare al bene comune. Non credo che le differenze di vedute con gruppi di esperti si possano trasformare in contrasti ideologici in grado di bloccare la cooperazione e le buone relazioni che sostanzialmente rimangono, come dimostrano la recente visita del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e di vari direttori di organismi internazionali al Santo Padre.
Non la preoccupa il fatto che le raccomandazioni della Commissione dell’Onu per i diritti dei minori siano arrivate a criticare «posizioni dottrinali e morali della Chiesa cattolica»? Mi sono riferito a due culture diverse per quanto riguarda la visione dell’uomo. Non è la prima volta nella storia che i valori del Vangelo e il suo messaggio trovano resistenza e fanno fatica sia ad essere compresi che accettati. I peccati della comunità cristiana non sono una giustificazione per imporle dottrine sbagliate o per limitarne la libertà. Si dovranno piuttosto correggere comportamenti erronei e aderire con maggior coerenza alla verità in cui si crede.
Gli ultimi scontri hanno compromesso il rapporto tra Onu e Santa Sede? La barca della Chiesa va avanti nonostante qualche maroso. Guardando al futuro, ci è richiesto l’impegno di rendere ragione della nostra speranza, delle nostre prese di posizione e delle nostre convinzioni. Perseguiamo poi il bene comune nel nostro mondo globalizzato sostenendo e rendendo fruttuoso per tutta la società il messaggio del Vangelo. a cura di Leone Grotti
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