A Benedicto ad Franciscum

3 pensieri di Benedetto XVI sull’Eucarestia che possiamo ‘gustare’ oggi

Un modo essenziale dello stare col Signore è l’Adorazione eucaristica. Altötting, grazie al Vescovo Schraml, ha ottenuto una nuova “camera del tesoro”. Laddove una volta si custodivano i tesori del passato, oggetti preziosi della storia e della pietà, si trova adesso il luogo per il vero tesoro della Chiesa: la presenza permanente del Signore nel suo Sacramento. Il Signore, in una delle sue parabole, ci racconta del tesoro nascosto nel campo.

Chi l’ha trovato, così dice a noi, vende tutti i suoi averi per poter comprare il campo, perché il tesoro nascosto supera ogni altro valore. Il tesoro nascosto, il bene sopra ogni altro bene, è il Regno di Dio – è Gesù stesso, il Regno in persona. Nell’Ostia sacra Egli è presente, il vero tesoro, sempre per noi raggiungibile. Solo nell’adorazione di questa sua presenza impariamo a riceverlo in modo giusto -impariamo il comunicarci, impariamo dall’interno la celebrazione dell’Eucaristia. Vorrei citare in questo contesto una bella parola di Edith Stein, la santa Compatrona d’Europa, che scrive in una sua lettera: “Il Signore è presente nel tabernacolo con divinità e umanità. Egli è lì, non per sé stesso, ma per noi: perché è la sua gioia stare con gli uomini. E perché sa che noi, così come siamo, abbiamo bisogno della sua vicinanza personale. La conseguenza per quanti pensano e sentono normalmente è quella di sentirsi attratti e di soffermarsi lì ogniqualvolta e finché è loro concesso” (Gesammelte Werke VII, 136f). Amiamo lo stare col Signore! Là possiamo parlare con Lui di tutto. Possiamo esporgli le nostre domande, le nostre preoccupazioni, le nostre angosce. Le nostre gioie. La nostra gratitudine, le nostre delusioni, le nostre richieste e le nostre speranze. Là

possiamo anche ripetergli sempre di nuovo: “Signore, manda operai nella tua messe! Aiutami ad essere un buon lavoratore nella tua vigna!”  

da OMELIA Basilica di San Giovanni in Laterano, 22 maggio 2008  

Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv

3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma. Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia.  

da OMELIA Basilica di San Giovanni in Laterano, 7 giugno 2012  

Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa , prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana. 



In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre. 

… Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale.  



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