Domenica 14 luglio probabilmente resterà come data storica dello sport mondiale. Nel giro di 24 ore una “retata di doping” ha scosso come un terremoto il mondo dell’atletica giamaicana e mondiale. Nelle stesse 24 ore per la prima volta di fronte ad un’esaltante impresa al Tour de France del ciclista Froome sul monte Ventoux, la “montagna calva” dove tanti anni fa morì di doping l’inglese Simpson, il pubblico ha deciso di “non applaudire per diffidenza”. In attesa di accertamenti ha detto: «Non mi fido, forse costui è dopato».
Dove siamo arrivati è chiaro a tutti. Altrettanto evidente è che in gioco c’è la credibilità dello sport. E adesso come se ne esce? La vera domanda, che merita risposta, è questa, il resto è retorica. Per uscirne non ci sono scorciatoie né ricette magiche. Servono 3 ingredienti fondamentali. Prima di tutto servono leggi che considerino il doping reato penale. In Italia è così, ma in altre parti del mondo non si è ancora fatta questa scelta. Servono poi controlli, controlli e ancora controlli, a tappeto e senza pietà. Il problema non è con quali strumenti farli, ma con quali soldi. Ecco perché governi ed istituzioni internazionali devono sostenere, anche economicamente, una lotta al doping come non c’è mai stata. In gioco c’è un “patrimonio dell’umanità “ che si chiama sport. Infine, l’ingrediente primario, quello che davvero può annientare il doping. Serve una diversa cultura sportiva. Serve cambiare mentalità, investire nei settori giovanili e dare forza ai valori dello sport, per costruire uomini e donne capaci, domani, di respingere la tentazione del doping. Un tempo si diceva che un politico corre dietro alle elezioni e uno statista guarda lontano. Bene, qui bisogna essere “statisti” dello sport. Se corriamo dietro l’emergenza non si va da nessuna parte. Se mettiamo in cantiere in piano per sconfiggere il doping in 10 anni possiamo fare cose grandi. A parole tutti sono d’accordo sulla necessità di investire in cultura sportiva, ma ci si ferma lì, mentre servono azioni concrete, risorse, determinazione e perseveranza. Ai ragazzi di domani non vogliamo lasciare uno sport fatto di imbrogli e di doping. Vogliamo lasciare, invece, lo sport più vero di tutti i tempi. La sfida è enorme, perché il doping è sempre esistito. Galeno di Pergamo, medico filosofo dell’antica Grecia, ci ha testimoniato che già nei Giochi di Olimpia gli atleti usavano stimolanti. Intorno al 1904 Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne, dichiarò: «Alcuni aspetti dei Giochi vanno rivisti e devono farci riflettere. Questo avviene quando si dopa un atleta come un cavallo ». E ancora, come non ricordare che il compianto Mennea ha messo su in venti anni di carriera 7 etti di muscoli e dintorni? Nulla, se paragonati ai giamaicani e a tutti i velocisti di oggi che mettono su muscoli come niente fosse.
Se il doping c’è sempre stato, oggi si è superata la soglia di umana sopportazione ed in gioco c’è la credibilità dell’intero sistema sportivo mondiale. Insomma: oggi o mai più. Serve un’azione straordinaria di “lotta al doping”, per provare a debellare o almeno ad arginare questa piaga devastante. Inutile piangersi addosso. Inutile fare filosofia o demagogia. Inutile dire che si può fare poco. Serve girarsi su le maniche e mettere in campo la più grande lotta al doping della storia. Sperando che sia la volta buona…
di Massimo Achini
Presidente Centro Sportivo Italiano
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