Familia et Mens

Perché alcune persone ricevono guarigioni miracolose e altre no?

La Bibbia racconta tanti prodigi fatti da profeti e apostoli, oltre che da Gesù. Ma quale disegno divino si cela dietro a questi prodigi? Risponde don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.

 

 

 

Nella Bibbia si parla tante volte di miracoli compiuti da Dio, dai suoi discepoli e apostoli attraverso guarigioni di malati e risurrezioni di persone defunte (o meglio dire «rianimazioni» perché la «Risurrezione Vera» è stata quella di Gesù). Il tutto si trova nei Quattro Vangeli e negli Atti degli Apostoli del Nuovo Testamento ma anche nell’Antico Testamento si trovano alcuni segni di guarigioni come quando l’Arcangelo Raffaele guarì Tobia dalla sua cecità. Tutte queste affermazioni per dire che il miracolo è stato fatto in casi di bisogno, ma i miracoli che compie il Signore attraverso l’intercessione dei Santi e dei Beati li fa per affermare delle verità assolute oppure perché nella persona miracolata c’è un suo disegno particolare, diverso da chi non riceve il miracolo della guarigione?
Per rispondere alla domanda del lettore, cerchiamo di approfondire alcuni aspetti dei miracoli di Gesù, così come sono presentati nei vangeli. I vangeli ci testimoniano che Gesù ha incontrato un gran numero di persone afflitte, da, svariate malattie, (zoppi, ciechi, sordomuti, paralitici), malattie mentali (gli «indemoniati», nei quali troviamo diverse tipologie di patologia, come epilessia, schizofrenia, la cui origine poteva essere da una possessione diabolica), e anche infermità meno gravi (lebbrosi, emorroissa, la suocera di Pietro).

I vangeli sottolineano che Gesù cura i malati e guarisce. Gesù vede nel malato una persona, si relaziona con la totalità del suo essere, e vede nella persona che ha davanti una creatura disposta all’apertura di fede, desiderosa non solo della guarigione materiale ma di ciò che può dare senso alla propria vita. Dunque Gesù insegna che curare è in primo luogo entrare in relazione con l’altro, con la compassione di un uomo (Gesù condivide la debolezza dell’uomo) che incontra un umanità ferita.

 




La guarigione operata da Gesù nel corpo e nello spirito è segno che è liberazione definitiva dal male e dalla morte. La potenza dei suoi atti di guarigione è infatti la potenza stessa dell’evento pasquale, grazie ad un indebolimento di Gesù, e una sua perdita di forza, fino alla morte, condividendo fino in fondo la sofferenza dell’uomo.

Ma ci domandiamo: perché tante persone hanno ottenuto un miracolo nella loro vita e altre no? Perché tante persone soffrono, e molte persone magari si allontanano dalla fede di fronte al silenzio di Dio, non soltanto per i miracoli, ma di fronte alla richiesta di bene, di vivere una vita piena di amore e di dare un senso alla loro vita e non ottengono nulla?

La risposta si trova nel mistero della croce di Cristo che ha preso su di sé fino in fondo la vita umana in tutte le sue contraddizioni. Si legge nella lettera agli Ebrei: «Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pure essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». (Eb 5,7-8). L’«obbedienza» (hypake) che Cristo imparò dalla sua sofferenza consiste nell’adesione radicale al progetto di Dio, che lo ha guidato nelle scelte decisive della sua vita. La sottomissione alla volontà del Padre viene presentata spesso nel Nuovo Testamento come un aspetto caratteristico del comportamento di Gesù (cfr. Mc 14,36; Gv 4,34; 10,18).

Paolo in modo speciale sottolinea come l’obbedienza di Cristo si sia manifestata nella sofferenza della morte (cfr. Fil 2,8; Rm 5,19). Ma ciò che la lettera agli Ebrei mette maggiormente in luce, in piena sintonia con il racconto evangelico della passione, è il fatto che questa obbedienza non è stata spontanea e quasi scontata, ma ha richiesto una notevole dose di impegno e di fatica per superare la naturale paura della morte. L’aspetto più specifico del sacerdozio di Cristo sta quindi nell’accettazione libera, anche se sofferta, della morte, che certo non è stata voluta dal Padre, ma imposta dalle circostanze concrete della storia. Le modalità con cui è stata esaudita la sua preghiera aiutano dunque a comprendere retrospettivamente in che cosa essa consisteva.

Ci chiediamo: possibile che il padre non abbia esaudito Gesù liberandolo dalla morte? Ma il figlio accetta liberamente per amore di andare incontro alla morte. La risposta del padre è la risurrezione. Dunque Dio esaudisce sempre i suoi figli, ma quale sia il modo rimane ignoto, rimane nel mistero del silenzio di Dio.




Fonte:  www.toscanaoggi.it

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