E’ la maestra dei bambini che vanno alla ricerca di risposte che non si trovano sui libri di scuola: «Perchè maestra? Perchè proprio a me?». É la maestra dei bambini esploratori, quelli che vanno a cercare ogni energia nascosta tra le pieghe della nostra umanità. É la maestra, purtroppo, dei bambini che ogni tanto volano via.
Melania Scarabottini insegna alla scuola dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia e recentemente il suo lavoro e il suo impegno sono stati premiati con il riconoscimento “Umbria in rosa” che viene dato alle donne che eccellono nelle loro professioni e nell’impegno sociale. Melania Scarabottini lavora nella scuola primaria del reparto di Oncoematologia pediatrica dell’ospedale e segue i ragazzi presenti nel reparto, che hanno età che vanno dai 5 ai 18 anni. «Abbiamo anche un plesso in Pediatria. É capitato anche di aver fatto esami di Stato all’interno del reparto».
Melania è anche coordinatrice della scuola del’ospedale e referente nazionale per l’istruzione domiciliare, un progetto nazionale che garantisce il diritto allo studio ai ragazzi malati. «Insieme alle classi di appartenenza programmiano il loro percorso scolastico per la continuità nella formazione. Il percorso di guarigione è lungo, dura almeno un paio d’anni ed è giusto che i ragazzi non perdano la scuola».
In questa classe speciale si insegnano anche “materie” speciali. «I bambini e le loro famiglie affrontano una situazione destabilizzante e drammatica. Li aiutiamo prima di tutto ad affrontare l’impatto con la malattia e con l’agoscia di morte che inevitabilmente li accompagna». Situazioni complesse e delicate che Melania affronta dal 1992, l’anno in cui ha deciso di fare la maestra nella classe “speciale”.
«Avevo una specializzazione sull’insegnamento ai bambini con handicap e sono counselor. Il mio dirigente scolastico, Gabriele Goretti, insieme a Sabrina Boarelli- che sono stati i miei maestri – ha costruito la scuola in ospedale e io ho fatto questo percorso con loro, che continuo anche grazie al mio dirigente attuale, Fabio Gallina».
Un incontro di anime, prima che uno scambio di conoscenze e, come sempre succede quando ci si mette a nudo, gli scambi sono a somma crescente. Con-dividere, in realtà, è con-moltiplicare: si divide la sofferenza ma di amore ce n’è tanto, tanto di più.
«E’ una esperienza grandissima, di una grandissima ricchezza. Ogni giorno scopro quale resilienza abbia l’animo umano. Vedo genitori che si mettono al servizio dei figli e superano difficoltà che prima sembravano impossibili. Vedo figli che lottano per la vita. Vengono fuori gli aspetti più belli dell’animo». Emozioni che esplodono improvvise e che rischiano anche di destabilizzare chi dovrebbe insegnare a gestirle. «Devo fare un lavoro continuo per mantenere una giusta distanza e non farmi fagocitare dalla sofferenza dell’altro. Se mi facessi coinvolgere troppo non sarei utile nemmeno a loro».
«In ospedale lavoriamo con una straordinaria equipe multidisciplinare, un pezzo di eccellenza della sanità umbra, una equipe che si fa carico di tutti gli aspetti della dimensione umana del piccolo paziente e delle loro famiglie. Un altro elemento di grandissima forza è il comitato Daniele Chianelli che, con il residence per ospitare le famiglie che vengono da lontano, dà un enorme aiuto alle famiglie che vengono da fuori.
Loro hanno elaborato il dolore della loro perdita donando agli altri e hanno un “tocco” speciale con i genitori: trovano sempre la parola, l’abbraccio, lo sguardo giusto».
L’ultimo progetto messo in atto nell’aula dell’ospedale è quello della scrittura autobiografica: «Ogni lezione ha un tema, possono partecipare anche i genitori. Si scrive in maniera libera, facendo emergere dalla memoria le parti sane dei ragazzi. Profumi, odori, ricordi vissuti in quella parte dell’esistenza prima della malattia, in uno spazio in cui anche i genitori si sentono accuditi». E questo è importante anche per le mamme e i papà: «In queste situazioni c’è il rischio che le famiglie si smembrino, perchè il percorso di guarigione è lungo».
Anche in una situazione così difficile ed estrema «i ragazzi affrontano la scuola con grande serietà e rigore. La scuola è un fortissimo aggancio motivazionale alla vita, è un elemento fondamentale per tenerli agganciati alla normalità. In questa situazione ci sono ragazzi che scoprono il loro talento artistico, ascoltano se stessi e si rendono conto di essere capaci di fare cose inaspettate anche a loro stessi».
E ci sono anche i momenti in cui ci si diverte alla grande. «Come in ogni scuola si fanno le gite scolastiche a cui partecipano anche i medici. E ci sono stati anche ragazzini, arrivati a Perugia a curarsi dall’estero, che hanno vissuto momenti di grandissima felicità perchè nei loro paesi non avevano mai viaggiato». Come in ogni scuola, c’è la fine dell’anno scolastico – e della malattia – e i saluti alla maestra. «Questa è un’esperienza che rimane nella vita di questi ragazzi. Anche negli anni successivi alla guarigione continuano a chiamarci, passano a salutarci. Pochi giorni fa una ragazza albanese mi ha videochiamato per farmi vedere la sua boutique aperta da poco. Fin da bambina, da quando era stata qui, sognava la moda e ora ha realizzato quel sogno. Si ritrova tutto quello che è stato costruito».
E quando qualcuno dei piccoli pazienti vola via troppo presto? «Non ci abitua mai alla morte. E ogni morte rievoca quelle precedenti e amplifica i dolori. In alcuni casi, quando ci si lega di più a qualche piccolo paziente, la si vive come una perdita personale e per questo dobbiamo farci aiutare anche noi, per restare lucidi. Però, al tempo stesso, si ha la sensazione di aver accompagnato una vita al suo compimento. E questa sensazione arricchisce le esperienze che vengono dopo». “… e lo spaventò il sospetto tardivo che è la vita, più che la morte, a non avere limiti” scriveva Gabriel Garcia Marquez e, forse, oggi, questa frase l’avrebbe dedicato a Melania.
Di Vanna Ugolini per ilMessagero.it
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