A tre giorni dalla chiusura del Sinodo mi soffermo qualche minuto sul problema della comunione ai divorziati risposati per dire che non concordo con chi dice: dopo tante attese la montagna ha partorito il topolino.
La questione della comunione ai divorziati risposati è dolorosa perché i cristiani sanno che norma prossima dell’azione morale è il dettame della coscienza.
Ogni cristiano è consapevole che per il Vangelo il matrimonio è indissolubile e non è in potere della chiesa cambiarlo (Gesù addirittura si rifà alla Genesi). Il problema nasce – ed è particolarmente doloroso – allorché un cristiano formalmente sposato in chiesa sa che il proprio matrimonio è “nullo”, cioè inesistente, ma Tribunali, Rote e leggi non riescono a prenderne atto.
Il Papa ha dato molti segnali che vanno nella direzione di cercare degli snellimenti procedurali che consentano, in modo veloce e allo stesso tempo serio, di superare lo iato esistente tra coscienza e giudizio ecclesiale in cui troppi cristiani sono costretti a vivere. Chi scoraggia questi tentativi insinuando che si voglia minare l’indissolubilità, probabilmente non ha conoscenza diretta dei tanti casi di cui qualsiasi semplice prete potrebbe loro parlare. Forse per questo il Papa ha voluto che partecipassero al Sinodo anche dei parroci qualsiasi.
Chi si sposa in chiesa poi divorzia ma non crede, non desidera fare la comunione. Chi si sposa davvero e divorzia, poiché sa quanto ho detto sopra – che il matrimonio celebrato è indissolubile – se ne assume con dolore le conseguenze perché nessuno gioca con la propria coscienza. Invece chi si è formalmente sposato ma nel cuore è consapevole di non averlo fatto perché non aveva la maturità sufficiente, non si era accorto che è per tutta la vita, lo ha fatto per convenienza sociale, viene escluso dall’eucarestia ma non capisce perché. E qui il dolore diventa lancinante.
Sono poche queste situazioni? Io credo che quando noi pensiamo a qualcuno che vuol fare la comunione e che è un “divorziato risposato”, in realtà quasi sempre stiamo pensando non a “divorzi” ma a “matrimoni nulli”. E se sono matrimoni nulli, il secondo non è un “nuovo matrimonio” ma è un vero matrimonio. Esagero? Forse no.In un’occasione Papa Francesco, citando il suo predecessore a Buenos Aires, ha detto che i matrimoni nulli potrebbero essere addirittura la metà di quelli celebrati.
Il fatto è che bisognerebbe usare di più le virgolette. Perché spesso, non di divorziati risposati si tratta, ma di persone coinvolte a diverso titolo in matrimoni nulli che però non sono dichiarati tali dall’autorità ecclesiastica. Cioè sono matrimoni la cui nullità non è visibile alla chiesa e per la chiesa.
Il Sinodo è finito domenica e a breve seguirà il consueto documento del Papa (l’Esortazione Apostolica Post-sinodale). Io sono personalmente convinto – come Eugenio Scalfari – che Papa Francesco troverà il modo di dare quella che giornalisticamente e senza virgolette viene definita la comunione ai divorziati risposati, ma che altro non è se non rendere visibili tanti matrimoni nulli. Ho questa convinzione perché il Papa ha manifestato molte volte la volontà di trovare, non una scorciatoia per saltare l’indissolubilità del matrimonio – che anzi ha ribadito con molta forza – , ma gli snellimenti procedurali necessari per saldare la forbice tra il giudizio di coscienza degli interessati e quello della chiesa.
Ci sono in tal senso molte sue frasi e dichiarazioni, ma soprattutto i due Motu Propri dell’8 settembre “Mitis Iudex Dominus Iesus” e “Mitis et misericors Iesus. Sono certo che proseguirà su questa strada. I punti 84, 85. e 86. della Relazione gli aprono la porta. Molti hanno scritto che il punto 85. – quello che sottolinea come ciascun uomo sia un caso particolare – è stato approvato con un solo voto. In realtà è un solo voto per arrivare alla maggioranza qualificata dei due terzi: quindi è due terzi più uno, non cinquanta più uno come in genere si ritiene. Pensiamo quali riforme potremmo fare in Italia con una maggioranza dei due terzi più uno. Bisogna aggiungere, inoltre, che non tutti quelli che hanno votato contro l’hanno fatto perché era “troppo”: per alcuni era “troppo poco”.
Anche per questo credo che il Papa ce la farà. Perché il suo sentire è il medesimo della chiesa (e non potrebbe essere diversamente visto che il vescovo di Roma è proprio principio visibile dell’unità della Chiesa). Mentre l’indissolubilità del matrimonio è di diritto divino, e quindi un cattolico sa che la chiesa non può intervenire a cambiarla, il modo in cui viene verificata l’inesistenza di un singolo matrimonio formalmente avvenuto, è di diritto ecclesiastico. Cioè la modalità non si trova nel vangelo ma nei decreti della Santa Sede.
Si tratta di trovare il modo di rendere semplice la visibilità, anche ecclesiale, del giudizio di coscienza di quanti ritengono che il loro matrimonio in verità non sia mai esistito. Quindi non si tratta di “annullare” qualcosa che è esistito, ma di “dichiarare nullo” (cioè non esistente) qualcosa che non c’è mai stato.
Attualmente quando una persona formalmente sposata dice al confessore di essere convinta che il proprio matrimonio non è mai esistito la sua parola non basta: deve mostrare la sentenza del Tribunale Ecclesiastico. Il prete che ascolta non può comportarsi come negli altri casi, cioè quando semplicemente si fida della coscienza dell’interlocutore. E questo è strano. Perché in realtà la coscienza è sempre la norma ultima dell’agire morale. Anche in negativo. Per esempio se io mi confesso di un peccato di cui non sono per nulla pentito, anche se ricevo l’assoluzione sacramentale non sono perdonato. Se un tribunale dichiara nullo un matrimonio che però i protagonisti sanno essere valido, quel matrimonio continua ad esistere anche se c’è la sentenza di nullità. È così perché quello che c’è tra me e Dio lo sappiamo solo io e Dio. Tra le cose umane, se il tribunale permette la rescissione del contratto quel contratto non c’è più, ma tra me e Dio non funziona così. Conta la mia coscienza.
Sono certo che Papa Francesco troverà il modo di far coincidere il giudizio di coscienza con quello ecclesiale perché stare a lungo in dubbio, appesantiti dal credere in coscienza qualcosa che però non è accettato pubblicamente nella propria Chiesa pesa, pesa terribilmente. E spinge ad allontanarsi da Dio, dalla Chiesa e dall’uomo. E a fare tante sciocchezze.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost