Giacca da motociclista Vanson Leathers con la sagoma di uno scheletro al torace, occhialetti vintage, in mano un frullato vegano: banana, burro di arachidi, spinaci, semi di lino, bacche e latte dimandorla. Dietro l’outfit da alieno c’è un produttore di 43 anni nato a Virginia Beach e cresciuto con Chad Hugo sotto il timbro TheNeptunes. Il suo nome è Pharrell Williams. Cantautore che non scrive canzoni ma, ci dice quando lo incontriamo al Mandarin Oriental, Central Park West, “le ricevo dal cielo e me ne faccio carico”.
Sotto i toni caldi del pop-soul di Kelis e il look pink afro di un disco come Caught Out There, scorrono i gusti punk-rage e futuristici di Pharrell, dalle collaborazione con Outkast, Timbaland e Missy Elliott alle Top 40 dell’hip-hop e R&B fine anni Novanta. Dopo la strada dei Neptunes, le influenze Bomb Squad, il dub giamaicano, la new wave e il jazz, parte la carriera solista. Produttore del decennio secondo la classifica Billboard 2010 con oltre 100 milioni di copie vendute, 10 Grammy a suo nome, una nomination agli Oscar 2014 per Happy tratta dal film d’animazione Cattivissimo Me 2 e rimasta nella Billboard Hot 100 per 10 settimane consecutive, in vetta in 103 mercati globali. Fashion designer, dal brand Billionaire Boys Club ad Ice Cream, dalla società di tessuti Bionic Yarn alle campagne per Louis Vuitton, Uniqlo, Adidas e Commes des Garçons. Filantropo, benefattore; nel 2008 ha fondato From One Hand To Another, organizzazione non profit in supporto dei giovani a rischio. E’ il coach più amato della tv americana nel programma The Voice, e dopo il debutto come executive in Dope: Follia e riscatto, Pharrell diventa produttore de “Il diritto di contare” – in sala dall’8 marzo per 20th Century Fox – storia delle tre donne afroamericane impiegate dalla Nasa in una delle più grandi operazioni della storia: la spedizione in
orbita dell’astronauta John Glenn che ribalterà la corsa allo Spazio.
pharrel williams
Per lei Il diritto di contare è un film personale.
E’ ambientato nella città dove sono nato, Hampton, Virginia.
E’ vero che da piccolo ha incontrato la vera Katherine Johnson,
matematica della Nasa interpretata da Taraji P. Henson?
Ricordo che fu molto cortese con me. L’ex astronauta e amministratore
associato della Nasa, Leland Melvin, la portò in città e le presentò
la nostra comunità.
Per quale ragione?
Pensava che i ragazzini a scuola dovessero conoscere lo spazio da più
prospettive.
E aveva dimenticato questo episodio?
Da bambino non avevo idea che Katherine lavorasse come “computer
umano” o “colored computer” nella divisione segregazionista del
Langley Research Center. E’ stata mia madre a ricordarmi il valore di
questa donna, la prima fisica afro-americana ad aver dato un
contributo al settore aerospaziale degli Stati Uniti, negli anni
Sessanta, quando bianchi e neri vivevano separati.
Sua madre?
Sì, quando ho letto la sceneggiatura di Theodore Melfi e Allison
Schroeder mia mamma mi guarda e dice: “Ma come non conoscevi questa
storia? Tu hai incontrato Katherine Johnson di persona”. Ho risposto:
“Woah”. Poi ho scoperto le altre matematiche dalle capacità
prodigiose: Dorothy Vaughan, il capo squadra delle calcolatrici, e
Mary Jackson, ingegnere.
Il film di Melfi ha anche una forte componente spirituale. Qual è il
suo rapporto con Dio?
Oh man, Dio è il più grandi di tutti.
E’ vero che da piccolo sognava di esplorare l’universo?
Mi sentivo il padrone dei razzi, dello spazio e della Nasa intera. Era
una reverenza mistica.
Ha visitato la Nasa. Che cosa l’ha sorpresa?
Quanto forte sia la perseveranza degli uomini di scienza e il loro
obiettivo di esplorare l’ultima frontiera.
Non solo produttore ma co-compositore de Il diritto di contare.
Canzoni come I See a Victory, con la cantante gospel Kim Burrell, le
ho immaginate come un lungo fiume sacro di puro soul.
Perché il soul?
Il soul è la musica che offre riparo a chi attraversa un momento
difficile, come queste donne, emarginate solo per il colore della
pelle.
Con Trump presidente, considera la sua musica politica?
Credo ci siano viaggi, storie, travagli, momenti della storia mondiale
che richiedono un impegno civile maggiore. Io, attraverso la mia
musica, cerco di dare una mano a chi ha bisogno di sostegno e a
riparare le ingiustizie sociali. Ma quando creo e faccio musica non
penso ad altro che a tirarmi via dal mio corpo, voglio uscire da me,
dalle mie emozioni, e dare tutto alla causa per cui combatto.
Aveva letto il libro di Margot Lee Shetterly dal quale è tratto il film?
Era finito tempo fa nelle mie mani e in quelle della mia partner
produttiva, Mimi Valdés. Dopo averlo divorato mi son detto: “Questa
storia non può più rimanere nascosta”.
Quando guarda la luna, pensa a…?
A quanta strada ho fatto e a quanta ne devo ancora fare.
Il cinema è razzista?
Il cinema è per gli umani. Per tutti noi. Non conosce classi, razze,
credi religiosi.
Ha un’opinione sulla disparità uomo-donna nell’industria?
Sono ottimista e lotto per le donne. La nostra specie ha bisogno di
tempo ma prima o poi riconosce le proprie falle e si mette all’opera
per rendere il mondo un posto migliore. Condanno l’odio e chi lo
alimenta. Non c’è spazio su questa Terra per il pregiudizio. La mia
grande speranza sta nell’amore e nell’inclusione.
Cosa sogna oggi?
Uguaglianza e più diritti. A guidare questa armata sai chi ci sarà?
Proprio le donne. Quando uniscono le forze sono un esempio per tutti.
E dopo le donne?
I millennials, naturalmente.
Fonte www.huffingtonpost.it