Questi sono in giorni in cui un anno fa – come oggi – pregavamo al Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo, perché Gesù esposto ci facesse sentire, con Sé, Chiesa in Conclave: non volevamo perdere nemmeno un battito d’ala dello Spirito Santo. Eravamo pronti a coglierne ogni particolare, a riconoscerne l’azione, ad esserne testimoni. E proprio per questo avevamo bisogno di pregare.
Tutti insieme, totalizzando il più alto numero giornaliero di ore (laddove nel concetto di ‘giornaliero’ sia ben definito anche il tempo notturno). Se nelle ore immediatamente precedenti l’Extra Omnes era forte ed intenso il profumo di Emmaus, se ad ogni istante il tempo sembrava eterno, come quello degli Apostoli alle luci del sabato, allo scadere dei ‘tre giorni’, se dal mondo ci arrivava un certo timore della storia che si traduceva in pronostici e si riduceva in statistiche, la strada percorsa con Benedetto aveva forgiato la nostra speranza e maturato la certezza che tutto fosse nel disegno d’amore del Padre. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”.
Davanti all’Eucarestia dal cuore saliva l’interrogativo immenso, continuo, costante. E ancora: “Non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio?”, fino alla liturgia della mattina del 13 marzo, nella quale il monito di Isaia si faceva garante: «Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo, per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”…». Il Signore avrebbe mantenuto ancora la Sua promessa.
L’amore del Padre aveva provveduto tanto a noi, che ci stava conducendo ad un nuovo Pontificato: ma l’umanità non sarebbe rimasta un solo istante senza Pontefice. E il bisogno di leggere le cose di Dio, per dar senso alle lacrime di quella strana nostalgia di quando avevamo lasciato il Santo Padre a Castel Gandolfo, rinvigoriva il nostro desiderio di testimonianza: ci aveva salutato sorridendoci. Ed ora ne stavamo comprendendo la ragione. Non ci avrebbero fermato né la pioggia, né il freddo con cui la natura provvedeva a partecipare allo stato d’animo del mondo: e dall’Esposizione alla Piazza, ad ogni scrutinio, arrivava la carezza che trasformava lentamente in festa ogni sensazione. Meraviglioso Dio.
La fumata bianca fu lo start per la corsa al sagrato: erano le gambe di Giovanni a correre, perché giovani e robuste – che si fermarono sulla soglia del sepolcro vuoto ad aspettare Pietro… – La gioia divenne incontenibile tra singhiozzi e abbracci. Il cuore, però, aveva ancora bisogno di pregare: ma saliva senza sosta la lode. Saliva il ringraziamento. Qualunque fosse stato il nome del nuovo Pontefice, si sarebbe trattato del discernimento effuso dal Consolatore. Nessun dubbio nel cuore dei Papaboys. Nessun dubbio nel cuore della Chiesa in festa. “Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Non si sapeva molto di lui, se non un relativo grado di ‘papabilità’, nella misura in cui l’uomo, ancora una volta, avesse cercato di prevenire le sorprese di Dio: il nome che aveva scelto per sé, tuttavia, ne definiva chiaramente i connotati. Avrebbe gettato le reti a destra. E noi saremmo stati al suo fianco, su quella barca. Chissà che questo quarantennio dall’elezione di Giovanni Paolo II non ci avrebbe fatto riflettere sul tratto di storia che era servito al popolo di Israele per uscire dalla cattività dell’Egitto, sui quaranta giorni di Mosè, sui quaranta giorni di Gesù nel deserto.
Tempo dell’attesa, della purificazione, delle decisioni mature… Una cosa era certa e percepibile: era primavera. Non solo perché aveva smesso di piovere, ma perché quel capo chinato a chiedere preghiera al popolo di Dio era il colore dei nuovi germogli. Noi avevamo creduto: “È risorto, non è qui!”.
Loredana Corrao
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