Pio XII, il Pontefice che un’odierna leggenda nera vorrebbe dipingere come filonazista se non addirittura amico di Adolf Hitler (lo ha fatto il giornalista inglese John Cornwell con un libro inequivocabile fin dal titolo: Il Papa di Hitler), era così poco “amico” del dittatore di Berlino da tentare di esorcizzarlo a distanza perché convinto che fosse posseduto dal demonio. La circostanza è confermata da diverse testimonianze agli atti del processo di beatificazione.
Quale fosse l’opinione di Eugenio Pacelli sul Führer era noto da tempo. Suor Pascalina Lehnert, la religiosa che lo accudiva, ha raccontato – sotto giuramento, in tempi non sospetti, quando le polemiche su Pio XII non erano ancora scoppiate – che già nel 1929, lasciando Berlino per Roma dove sarebbe stato creato cardinale e nominato segretario di Stato, monsignor Pacelli si dimostrava angosciato per il futuro dei tedeschi:
«Un pensiero angoscioso turbava il nunzio alla sua partenza dalla Germania: il continuo progredire del nazionalsocialismo. Come era stato perspicace già allora nel giudicare Hitler e quante volte aveva messo in guardia il popolo tedesco dal tremendo pericolo che lo minacciava! Non gli volevano credere. Personalità di ogni ceto e di ogni classe gli fecero capire al momento del suo congedo ciò che essi attendevano da Hitler: l’ascesa e la grandezza della Germania. Una volta io chiesi al nunzio se non pensava che quest’uomo potesse avere in sé qualcosa di buono e… potesse, forse, aiutare il popolo tedesco. Il nunzio scosse il capo e disse: “Dovrei sbagliarmi di grosso pensando che tutto questo possa andare a finire bene. Quest’uomo è completamente invasato; tutto ciò che non gli serve, lo distrugge; tutto ciò che dice e scrive, porta il marchio del suo egocentrismo; quest’uomo è capace di calpestare i cadaveri e di eliminare tutto ciò che gli è d’ostacolo. Non riesco a comprendere come tanti in Germania, anche tra le persone migliori, non lo capiscano e non sappiano trarre insegnamento da ciò che scrive e che dice”».
Negli anni successivi, dopo l’elezione avvenuta nel marzo 1939, Pacelli aggravò questo giudizio arrivando a ritenere Hitler un vero indemoniato. Lo conferma, nelle deposizioni, anche un nipote del Pontefice. Così, nei momenti più bui della guerra, Pio XII tentò più volte di “liberare” l’anima del Führer dal diavolo, con tutte le invocazioni previste nel rito dell’esorcismo: «Nel nome di Gesù, satana, vattene… Tu che sei stato sconfitto nel mar Rosso da Mosè, tu che venivi scacciato da Saul grazie ai salmi cantati da Davide, tu che sei stato dannato nella persona di Giuda…».
Certo, l’esorcismo “a distanza” non ottiene quasi mai effetto. Lo ha spiegato bene padre Gabriele Amorth: «Raramente la preghiera a distanza ha un effetto liberatorio. Di per sé è possibile tentare preghiere a distanza, ma che attecchiscano è un altro discorso. Uno dei requisiti per fare gli esorcismi è infatti che la persona sia presente, e che sia consenziente. Fare esorcismi su qualcuno che non è né presente né consenziente né cattolico presenta delle difficoltà». «Non ho dubbi però» aggiunge padre Amorth «sul fatto che Hitler fosse satanista. Da questo punto di vista non mi stupisco che Pio XII possa aver tentato un esorcismo a distanza».
Secondo Padre Amorth, la possessione del Führer emerge dalla sua «perfidia umanamente inspiegabile: non si spiega una malvagità simile senza una forza superiore e al di fuori della natura umana».
La notizia degli esorcismi “a distanza” di papa Pacelli è stata confermata dal gesuita tedesco Peter Gumpel, che segue la causa di beatificazione, durante un recente dibattito sulla figura di Pio XII: «Queste testimonianze agli atti del processo canonico sono coperte dal segreto» spiega Gumpel «Ce ne sono diverse che parlano dell’episodio e riferiscono che il Pontefice tentò più volte questi esorcismi. Non è un fatto da enfatizzare in sé, è soltanto un particolare. Ma è utile per comprendere che cosa davvero Pio XII pensasse di Hitler e quanto false siano quelle ricostruzioni pseudostoriche che oggi vorrebbero presentarcelo come un Papa filonazista, addirittura amico del Führer».
Era invece un Papa così poco filonazista e così poco “amico” di Hitler da appoggiare direttamente il tentativo di rovesciarlo messo in atto da alcuni ufficiali tedeschi alla fine del 1939. Un vero e proprio complotto, per il quale il Papa si espose moltissimo facendo personalmente da tramite fra i congiurati e il governo inglese. Ha scritto lo storico Owen Chadwick: «Il Papa mise a rischio il destino della Chiesa in Germania, Austria e Polonia, e forse rischiò anche di più. Probabilmente rischiò la distruzione dei gesuiti tedeschi… Si fece carico di questo grosso rischio unicamente perché la sua esperienza politica vide che, per quanto questo piano andasse incontro a un verosimile fallimento, era probabilmente la sola possibilità superstite per fermare l’imminente invasione dell’Olanda, della Francia e del Belgio, per impedire infiniti spargimenti di sangue, e per riportare la pace in Europa».
Del resto questi sentimenti di avversione erano ampiamente ricambiati da parte dell’invasato “padrone” del Terzo Reich. In un rapporto datato 30 settembre 1941, il nunzio apostolico in Francia, Valerio Valeri, descrive ai suoi superiori della Segreteria di Stato il contenuto di un colloquio intercorso tra Hitler e il dittatore spagnolo Francisco Franco: «Il cancelliere del Reich aveva asserito che il Santo Padre era un suo nemico personale».
«La distruzione del cristianesimo è esplicitamente riconosciuta come un obiettivo del nostro movimento, anche se non può essere enunciata ufficialmente.» (1934-von Schirach-leader della Gioventù Hitleriana).
HITLER E IL PROGETTO DI RAPIRE PIO XII: “L’OPERAZIONE RABAT”, (nota in tedesco anche come Aktion Papst) MESSA A PUNTO NEL 1944 DAL NAZISTA BELGA LÉON DEGRELLE
Questa è la storia di un rapimento mancato e di un documentario mai girato. Questa è la storia dell’Operazione Rabat, cioè del progetto di Hitler di rapire papa Pio XII e di deportarlo in Germania. Questa è una storia che riaffiora da documenti e testimonianze, segnalazioni concordanti e credibili sulle minacce dei nazisti contro papa Pacelli e che il Vaticano conferma. Nel corso del tempo, soprattutto grazie alla testimonianza del generale tedesco delle SS Karl Wolff, se ne sono delineate le linee generali. Durante il processo di Norimberga disse che Hitler stava già pensando di rapire il papa nel settembre del ’43.
La voleva raccontare Frédéric Rossif, il regista franco-montenegrino di Morire a Madrid, che era stato tra i protagonisti della liberazione di Roma e che, a metà degli anni ’80, intendeva girare un documentario per svelare molte cose rimaste segrete sulla liberazione di Roma e sul progetto di Hitler di portare il Papa in Germania. Purtroppo Rossif morì nel 1990, prima di poter completare il suo documentario sul tentato rapimento di Papa Pio XII.
Il primo personaggio di questa storia intorno alla quale stava lavorando Frédéric Rossif è Léon Degrelle, il capo dei nazisti belgi che, rivolgendosi a Hitler con un tono che neppure i suoi fedelissimi osavano ostentare, ai primi di gennaio del 1943 se ne uscì con un perentorio: «Dobbiamo convincere Pio XII. Con le buone o con le cattive».
Adolf Hitler approvò l’Operazione Rabat. Degrelle aveva fondato il Movimento rexista (il nome derivava dalla scritta Christus Rex che spiccava sulle sue insegne), un partito conservatore, ferocemente antisemita, che ispirandosi al nazionalsocialismo cercava confusamente di adattarlo a princìpi tradizionalisti cattolici. Un paio d’anni prima aveva tentato di strappare all’episcopato del Belgio una lettera pastorale a sostegno dell’antisemitismo, ma il piano era miseramente naufragato per la coraggiosa opposizione di monsignor Jean Bernard, un sacerdote lussemburghese (in seguito sarebbe diventato presidente dell’Office catholique international du cinéma) che, anziché piegarsi a tale criminoso disegno, aveva preferito la detenzione nel campo di concentramento di Dachau. A questo episodio, Volker Schloendorff ha dedicato il film Der neunte Tag (“Il nono giorno”), mai arrivato in Italia.
Nei primi mesi del 1944, Léon Degrelle era tornato alla carica. Forte del fascino che esercitava su Hitler («Se avessi avuto un figlio avrei voluto che fosse come voi», gli aveva detto un giorno il Führer), aveva messo a punto un nuovo progetto che prevedeva di rapire Pio XII, portarlo in Germania e costringerlo a firmare un’enciclica che, condannando il giudaismo, approvasse l’ideologia nazionalsocialista. Nel Belgio occupato dai nazisti, Degrelle aveva costituito una divisione di Waffen SS che si stava battendo con valore sul fronte russo e tanto era bastato perché Hitler esaudisse ogni suo desiderio.
Il piano che Degrelle presentò al Führer non tralasciava alcun dettaglio. Travestiti da agenti sionisti in combutta con partigiani comunisti italiani, militi delle SS si sarebbero introdotti nella Città del Vaticano e, armi alla mano, avrebbero sequestrato Pio XII. A questo punto, però, doveva entrare in scena la Wehrmacht, cioè l’esercito nazista, che prima avrebbe finto di sventare il rapimento e salvare il Papa, e poi, per proteggerlo da ulteriori pericoli, lo portava al sicuro in Germania. Qui, nelle mani della Gestapo, sottoposto a vessazioni, condizionamenti e continui controlli, non avrebbe resistito a lungo e non sarebbe stato difficile estorcergli una firma su un documento preparato ad arte.
Il generale che fece la spia
Hitler è entusiasta del piano, della cui esecuzione incarica sia Karl Wolff, generale delle Waffen SS, sia il generale Wilhelm Burgdorf. Perché, non fidandosi di nessuno, vuole aprire più porte al calcolo delle probabilità. E Hitler ha ragione, perché Wolff (personaggio infido, che coabitava con l’intrigo e il tradimento, come risulterà dalla pace separata stipulata in Italia a insaputa dei repubblichini nell’aprile 1945), in un colloquio avvenuto la notte del 10 maggio 1944, informa di persona Pio XII.
Come tanti altri, il Papa è a conoscenza dei fatti. Non fosse altro perché ai primi di ottobre 1943 Radio Monaco, l’emittente repubblichina di base in Baviera, aveva annunciato che in Germania si stavano allestendo gli appartamenti pontifici per ricevere l’illustre ospite.
L’Osservatore Romano ha pubblicato uno scritto inedito che consente di fare luce sulla vicenda e lascia capire che certamente il Vaticano fosse al corrente del piano. Convinto della sua pericolosità, prese le sue contromisure. Il testo è stato recuperato tra le carte di Antonio Nogara (1918-2014) unico figlio di Bartolomeo, che fu direttore dei Musei vaticani dal 1920 sino alla morte, nel 1954. Nogara racconta che in una fredda notte tra il gennaio e il febbraio del 1944 suo padre ricevette una visita notturna di monsignor Montini. Subito dopo i due uscirono frettolosamente. Perché? Nogara lo apprese il pomeriggio seguente. «Mio padre ci svelò che l’ambasciatore del Regno Unito Sir Francis d’Arcy Osborne e l’Incaricato d’affari degli Stati Uniti Harold Tittmann avevano congiuntamente avvertito monsignor Montini di aver avuto notizia, da parte dei rispettivi servizi militari d’informazione, di un avanzato piano tedesco per la cattura e la deportazione del Santo Padre con il pretesto di porlo in sicurezza sotto l’alta protezione del Führer». I due diplomatici assicurarono la disponibilità degli alleati a intervenire in soccorso del Pontefice, se necessario anche con un aviolancio di truppe. Fu così che Montini e Nogara Senior si affrettarono a cercare un luogo adatto per nascondere Sua santità. Dopo affannose ricerche, dalla Galleria lapidaria alla Biblioteca vaticana, localizzarono il luogo adatto: la Torre dei Venti. Le sue molte stanzette erano perfette.Giorni dopo il pericolo sembrava rientrato. Nogara confidò al figlio che: «Il piano di Hitler era già da tempo noto a conoscenza del Vaticano, che era stato allertato da riservate indiscrezioni tedesche di persone ostili al piano in questione». L’avanzata degli alleati, ormai inarrestabile, liberò la città tra il 4 e il 5 giugno del 1944. La lunga testimonianza di prima mano di Nogara, però, conferma in maniera definitiva che il piano tedesco per rapire il Papa esisteva. In ogni caso, conclude, Nogara, Pio XII, “per l’alto senso di dignità, per il carattere forte dimostrato in varie circostanze, per l’alto senso di onore che sempre accompagnò il suo magistero, mai avrebbe ammesso compromessi barattando la propria incolumità con soluzioni incompatibili, pur in minima parte, col decoro e il prestigio del Pontefice e della Chiesa”.
Fonti Andrea Tornielli , Pio XII, un uomo sul trono di Pietro(Mondadori-Le “Scie”)/agensir.it
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