Peggiorano a dismisura le conseguenze delle due forti scosse di terremoto e del successivo maremoto che venerdì scorso hanno investito la costa centro-occidentale dell’isola indonesiana di Sulawesi.
Con il passare delle ore la devastazione si sta rivelando in tutta la sua tremenda entità. Sono infatti oltre 1200 le vittime finora accertate, ma all’appello mancano ancora migliaia di persone. «Crediamo che il numero dei morti sia destinato a crescere dal momento che molti corpi sono ancora sotto le macerie e ci sono molte zone ancora da raggiungere», ha detto un portavoce dell’agenzia per le emergenze nazionali, precisando che ci sono decine di chilometri di costa dove le squadre di soccorso non sono ancora riuscite ad arrivare.
Quasi tutte le vittime sono state registrate a Palu, la capitale provinciale sulla punta della baia più duramente colpita dall’onda di maremoto. Ma i mezzi dell’esercito sono riusciti a farsi strada solo in aree limitate verso nord, e le notizie che giungono dalla città di Donggala (300.000 abitanti), a soli 27 chilometri dall’epicentro, rimangono tuttora frammentarie.
LE IMMAGINI SHOCK
Le immagini dall’alto diffuse dalle televisioni locali hanno mostrato devastazioni massicce e terreni allagati. È possibile che il bilancio nella zona sia ancora più grave rispetto a quello accertato finora a Palu. Si teme che numerosi cadaveri siano stati trascinati in mare.
I soccorritori lavorano senza sosta tra strade e ponti distrutti. I crolli degli edifici più alti, come il principale hotel cittadino e il maggiore centro commerciale, hanno bloccato al loro interno centinaia di persone. E altri centinaia di dispersi sono stati segnalati in un complesso residenziale.
E mentre il presidente indonesiano, Joko “Jokowi” Widodo, ha autorizzato il paese asiatico ad accettare l’aiuto internazionale, le autorità locali hanno previsto sepolture di massa per evitare epidemie. La Commissione europea ha già stanziato una somma iniziale di 1,5 milioni di euro per aiuti umanitari d’emergenza.
«Vicinanza alle popolazioni dell’isola di Sulawesi, in Indonesia, colpita da un forte maremoto» è stata espressa dal Papa al termine dell’Angelus del 30 settembre.
Dopo aver celebrato al mattino la messa per il corpo della Gendarmeria vaticana e i famigliari all’indomani della festa del patrono san Michele arcangelo, il Pontefice ha guidato la preghiera mariana di mezzogiorno ricordando «i defunti — purtroppo numerosi — i feriti e quanti hanno perso la casa e il lavoro» nella tragedia indonesiana. «Il Signore li consoli e sostenga gli sforzi di quanti si stanno impegnando a portare soccorso» ha auspicato, prima di recitare per loro un’avemaria con i fedeli presenti in piazza San Pietro. Successivamente Francesco ha ricordato la beatificazione in Francia del prete marsigliese Jean-Baptiste Fouque, «che rimase vice-parroco per tutta la vita» promuovendo «numerose opere assistenziali e sociali in favore di giovani, anziani, poveri e ammalati». Insomma, ha detto il Papa, un «apostolo della carità» esemplare «nell’impegno di accoglienza e condivisione con le persone più deboli e svantaggiate».
In precedenza, commentando come di consueto il vangelo domenicale (Marco 9, 38-43.45.47-48) in cui i «discepoli manifestano un atteggiamento di chiusura davanti a un avvenimento che non rientra nei loro schemi, in questo caso l’azione, pur buona, di una persona “esterna” alla cerchia dei seguaci», Francesco ha fatto notare come invece Gesù appaia «molto libero, pienamente aperto alla libertà dello Spirito di Dio». Attualizzando la riflessione il Papa ha spiegato che in tal modo «Gesù vuole educare i suoi discepoli» e «anche noi oggi, a questa libertà interiore». Infatti l’atteggiamento dei discepoli della prima ora «è molto umano, molto comune, e lo possiamo riscontrare nelle comunità cristiane di tutti i tempi, probabilmente anche in noi stessi».
Un tema quello della critica alle tendenze autoreferenziali diffuse in alcune comunità cristiane che il Papa ha riproposto anche nelle udienze di lunedì mattina a due gruppi di preti: quelli partecipanti alla congregazione generale dei rosminiani e quelli della diocesi francese di Créteil. Ai primi ha ribadito che la via della santità è la vera riforma della Chiesa e ai secondi che i sacerdoti non sono consacrati «per essere dei “supereroi”» ma sono «inviati con la consapevolezza di essere uomini perdonati».
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In mattinata il Pontefice ha anche ricevuto i partecipanti a un seminario sull’etica nella gestione della salute provenienti dall’America latina. A loro ha parlato della necessità di prendersi cura del malato e ha accennato alla «forte tendenza alla legalizzazione dell’eutanasia» diffusa oggi nel mondo. In proposito Papa Francesco ha auspicato «un accompagnamento umano sereno e partecipativo» per «il paziente cronico grave o il malato in fase terminale».
Osservatore Romano (2 ottobre 2018)
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