Pochi forconi ma molto arrabbiati in piazza a Roma

Selva di slogan antisistema, ma dai discorsi sono emerse richieste piuttosto confuse sul piano politico, anche se accomunate dal rifiuto della legittimità della classe politica attuale, a partire dal Presidente della Repubblica, per scendere al Parlamento. Attacchi all’euro e richiesta di uscita dell’Italia dalla moneta unica. E ancora: “Vogliamo riprenderci la sovranità popolare, economica e politica”

“Italiano, spegni la tv, accendi il cervello”. “Vogliamo vivere, non sopravvivere”. “Basta casta”. “9 dicembre 2013: mandiamoli via”. “Sopra la gente lo Stato campa. Sotto lo Stato la gente crepa”. “Non mi suicido, combatto”. “Non ci fidiamo più di chi ci rappresenta”. “Studenti, braccianti, operai … il sole non sorge a Bruxelles”: questi sono alcuni degli slogan su cartelli e striscioni dei “forconi” che mercoledì 18 dicembre si sono dati appuntamento da tutta Italia a piazza del Popolo a Roma. Si parlava di 15mila manifestanti che sarebbero giunti dalle decine di presidii in corso nelle diverse regioni italiane. Invece gli arrivi sono stati circa la metà, perché – ha detto il leader nazionale Danilo Calvani – molti pullman e treni sono stati bloccati, con motivazioni varie. Così gli arrivi, il condizionale è d’obbligo, sarebbero stati di molto ritardati e i gruppi avrebbero raggiunto a singhiozzo il punto di raccolta nel cuore della capitale per far sentire la loro voce “ai palazzi del potere”.
Chi sono i “forconi”. Partito come un movimento di contadini e allevatori in Sicilia e Veneto, le due regioni che poi all’ultimo si sono parzialmente dissociate dalla manifestazione nella capitale per il rischio di presenza degli attivisti di estrema destra di Casa Pound, annunciando che arriveranno domenica 22 per andare dal Papa – i “forconi” hanno moltiplicato in questi mesi le loro presenze un po’ in tutta Italia. Non c’è una categoria prevalente. Nelle loro fila ci sono i camionisti, gli ambulanti, i taxisti, i disoccupati, quelli che combattono le cartelle “pazze” di Equitalia, le madri disperate per la disoccupazione dei propri figli, i padri in cassa integrazione “arrabbiati” perché non riescono ad assicurare “quasi neanche il pane” ai loro ragazzi che studiano, le “partite Iva” costrette a chiudere per la mole di tasse “che ci hanno impoveriti”, i piccoli imprenditori che hanno dovuto licenziare i loro dipendenti perché “lo Stato socio occulto si prende più del 60% del reddito”. Per quelli di loro che si sono suicidati c’è stato un minuto di silenzio. Girando per la piazza, e parlando con alcuni di loro, il senso prevalente è di disperazione mista all’ultima estrema risorsa: fare appello alla “bandiera” italiana, come simbolo unificante che sta sopra tutte le bandiere di partito. Il tricolore ha dominato la scena del raduno dei “forconi” e i diversi oratori hanno tutti rivendicato il fatto di essere a-partitici, anzi contro questa classe politica “che ci ha ridotto come l’Africa”.
Le rivendicazioni politiche. Dai discorsi risuonati in piazza sono emerse richieste piuttosto confuse sul piano politico, anche se accomunate dal rifiuto della legittimità della classe politica attuale, a partire dal Presidente della Repubblica, per scendere al Parlamento. La pronuncia della Consulta sulla incostituzionalità della legge elettorale è stata citata come la indiscutibile sanzione di illegittimità. Da qui l’appello ripetuto ai politici: “tutti a casa, non ci rappresentate più”. Al vertice delle richieste avanzate dalle quindicina di oratori, anche l’uscita dell’Italia dall’euro, definita la prima e più profonda causa della crisi economica in cui è caduto il nostro Paese. Proprio la moneta unica, con i vincoli derivanti dall’unione monetaria, sarebbe – secondo i “forconi” – alla base del crollo dei prestiti bancari, mentre le stesse banche preferiscono tenersi decine di miliardi avuti in prestito dalla Bce nelle casseforti piuttosto che girarle all’economia reale e mentre lo Stato non paga i suoi debiti facendo morire le aziende. Da questo stato diffuso di penuria economica – hanno detto – viene la recessione, la “svendita” dei nostri asset migliori agli investitori esteri, la povertà crescente, la rabbia popolare. E quindi, l’unica ricetta che si è sentita è stata questa: “Vogliamo riprenderci la sovranità popolare, la sovranità economica, quella politica”, qualcuno ha aggiunto “costi quello che costi”.
Cosa insegna questa protesta. Il movimento dei forconi non intende demordere e – come ha detto il leader Danilo Calvani – continuerà nella mobilitazione. Insieme alle bandiere italiane, mai così numerose forse a sventolare tutte insieme in una piazza romana, sono comparse molte maschere di “Anonymus”, quelle famose perché indossate dai contestatori del potere finanziario a New York, Londra, Parigi e in altre capitali e anche perché abbinate alle operazioni di hackeraggio internazionale ai danni degli archivi segreti Usa. Benché i “forconi” oggi siano – come ha detto il presidente della Confindustria Squinzi – “ampiamente condivisibili”, debbono compiere ancora molta strada prima di poter presentare un organico programma di riforma politica, istituzionale ed economica. Nessuno in piazza ha fatto appello a Grillo e al “grillismo”. Hanno applaudito solo quando è stato citato Papa Francesco, definendolo “uno di noi”: i poveri che si sentono vicini al Papa che abbraccia la povertà!. Lo stesso presidente della Cei, cardinaleAngelo Bagnasco, a Genova ha espresso parole di comprensione, esortando il mondo politico a cogliere cosa ci sia dentro questo appello alla mobilitazione. A Roma sono giunti molti disperati, che hanno perso il lavoro e non vogliono perdere la dignità. La politica ha il dovere morale, prima che istituzionale, di ascoltarli. Prima che sia troppo tardi.

 Luigi Crimella per Agenzia Sir

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