Il beato padre Jerzy Popieluszko nel racconto dell’anziana madre Marianna. Ha gli occhi stanchi: dei suoi 92 anni; degli oltre 70 anni di duro lavoro in campagna e in casa. E delle lacrime versate per i suoi morti: durante la seconda guerra mondiale i russi uccisero il più piccolo dei suoi fratelli; nel 1953 morì tra le sue braccia la figlioletta Edvige di due anni; nel 1984 i servizi segreti del regime comunista polacco fecero morire suo figlio sacerdote.Negli occhi di questa donna minuta e apparentemente fragile, non c’è però disperazione. Questa semplice contadina ha vissuto come se avesse preso per motto una filastrocca imparata dall’infanzia: “Amare la gente, amare Dio: ecco la strada dritta per il paradiso. Ama con il cuore e con le opere: sarai con gli angeli nel paradiso”. Per incontrare questa anziana donna, la madre del beato padre Jerzy Popieluszko, bisogna andare in un remoto angolo della Polonia, vicino alla frontiera con la Lituania, a circa 200 chilometri da Varsavia. Marianna Gniedziejko – questo il suo cognome da nubile – è nata lì, nel 1920, a Grodzisko, un piccolo villaggio della sconfinata pianura del centro dell’Europa. Nelle parole di questa donna il ricordo della vita del figlio, la sua vocazione, l’ordinazione sacerdotale, le messe per la Patria, i rapporti con Solidarnosc, il Papa polacco, la persecuzione dei servizi segreti comunisti. E il ricordo dell’ultima volta che vide il figlio. “È stato nel mese di settembre del 1984. È venuto a casa senza preavviso. Non parlava di se stesso, ma sapevo che lo seguivano: anche dalle finestre della nostra casa abbiamo potuto vedere le auto con gli agenti. Ma lui era coraggioso, anche se fisicamente debole. Mi ha lasciato la sua tonaca da rammendare dicendo: “La prenderò la prossima volta. Se no, avrai un ricordo di me”. Invece salutandoci disse: “Mi raccomando: se muoio, non piangete per me””.
Padre Jerzy Popieluszko nacque il 14 settembre 1947 a Okopy provincia di Bialystok. I suoi genitori erano contadini, in questo ambiente semplice maturò la sua vocazione. Entrato nel 1965 nel Seminario Maggiore di Varsavia, ricevette l’anno dopo l’ordine di chiamata alle armi, dovendo svolgere il servizio triennale di leva in una unità militare speciale, dove le autorità militari comuniste svolgevano opera di indottrinamento antiecclesiale e antireligioso per distogliere i seminaristi dalla loro vocazione. Fu oggetto di vessazioni e persecuzioni, che indebolirono il suo stato di salute. Fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1972 a Varsavia dal cardinale Stefan Wyszynsky. Fino al 1980 fu cappellano nel suo villaggio di origine, occupandosi principalmente dell’educazione di bambini e ragazzi, da quel momento iniziò ad avvicinarsi al movimento operaio polacco e a temi di giustizia sociale. Nell’agosto 1980 era stato inviato dal cardinal Wyszyński tra gli operai in sciopero nei cantieri siderurgici di Varsavia fino a diventare uno dei sacerdoti più legati a Solidarność. Oltre al lavoro parrocchiale, nella Chiesa di San Stanislao Kostka, svolgeva il suo ministero tra gli operai organizzando conferenze, incontri di preghiera anche per medici ed infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati. Don Popiełuszko si impegnò nella celebrazione delle “Messe per la Patria”
, nelle cui omelie affrontava temi religiosi e spirituali ma anche questioni di attualità, di carattere sociale e politico-morale, illustrando i documenti fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa e gli insegnamenti al riguardo di Giovanni Paolo II e del Cardinale Stefan Wyszyński. Per il suo coraggio, la difesa dei diritti umani, la richiesta di libertà e giustizia, la capacità di amare anche i suoi persecutori, divenne subito una minaccia per il regime dittatoriale. Don Popieluszko aiutava tutti gli operai, dava loro coraggio, li educava all’amore fraterno, li invitava a non reagire quando venivano colpiti, li confessava, sosteneva le loro famiglie. Gli insegnava a rispondere con preghiere e canti sacri e patriottici alle minacce e alle aggressioni. Sosteneva Solidarnosc nelle sue battaglie per garantire migliori condizioni sociali, per la libertà, la giustizia, il progresso. Tentarono in vario modo di minacciarlo e spaventarlo. Uccisero i figli e i parenti delle persone a lui più vicine. Qualcuno dei suoi collaboratori cedette alle minacce e divenne una spia dei servizi segreti.Ma don Popieluszko, non cedette mai alle provocazioni. Mai si piegò al sentimento di odio. In un momento molto duro, quando scopre di essere tradito, quando i suoi amici non ne possono più dell’oppressione e del terrore, pronunciò questa frase: “combatto il peccato non le sue vittime”. Questa sua capacità eroica di amare tutti cristianamente, lo rende libero e invincibile. Il regime non sa cosa fare. Cercano di screditarlo e di accusarlo di cospirazione politica, ma lui non parla mai di politica. La situazione sta per precipitare e la Chiesa prova a convincerlo di rifugiarsi a Roma. Popieluszko è cosciente della sua missione e va avanti, fiducioso, ubbidiente e fedele a Cristo. Così il 19 ottobre 1984 di ritorno da un servizio pastorale da Bydgosszcz a Gorsk vicino a Torun viene rapito da tre funzionari del Ministero dell’Interno, selvaggiamente picchiato e seviziato. Pur legato dentro al cofano dell’auto cerca di fuggire. I persecutori lo braccano, lo colpiscono ancora più violentemente, lo sfigurano, lo legano tra bocca e gambe, in modo che non possa distendersi senza soffocare. Gli stringono un masso ai piedi e lo buttano ancora vivo in un fiume. La notizia dell’assassinio causò disordini in Polonia, e gli autori dell’omicidio – i capitani Grzegorz Piotrowski, Leszek Pekala, Waldemar Chmielewski ed il colonnello Adam Petruszka – furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma furono rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo. Aveva 37 anni.
Il regime pensa di aver messo a tacere il più coraggioso dei suoi oppositori, e invece è il segno della sua fine. Da lì a poco non solo la Polonia sarà liberata, ma l’intero sistema comunista collasserà. Nonostante le minacce e la violenza, oltre mezzo milione di persone sfilò al funerale di padre Popieluszko. Tra i giovani che sfilarono oranti dietro a quella bara, c’era il regista del film Rafał Wieczyński, il quale ha rivelato a Radio Vaticana: “avevo 16 anni quando partecipai ai funerali di padre Popiełuszko. Insieme a 600 mila persone riuscivo a percepire i sentimenti della gente in quel periodo. E’ diventato una sorta di maestro, una figura con la quale mi confrontavo e volevo che la nuova generazione provasse le sensazioni di quei tempi, quando la gente era unita fondandosi sui valori del Vangelo”. Da allora la tomba di padre Popiełuszko che si trova accanto alla chiesa di San Stanislao Kostka, a Varsavia, è meta continua di pellegrinaggi di fedeli provenienti dalla Polonia e dal mondo intero. In questa città, a poca distanza dal luogo dell’assassinio, Giovanni Paolo II celebra una Messa il 7 giugno del 1991. “Il Muro è caduto da poco e l’Europa – afferma Papa Wojtyla – ha bisogno di redenzione dall’odio che l’ha sfigurata nel Novecento. In questo scenario, don Jerzy– afferma- è un martire che va considerato non solo nella misura in cui servì in una certa causa di ordine politico, anche se si trattava di una causa profondamente etica, bensì si deve guardare a lui e leggere la sua figura nell’intera verità della sua storia, dal punto di vista dell’uomo interiore.- E conlcude:- Proprio quest’uomo interiore può essere testimone, testimone dei nostri tempi difficili, del nostro difficile decennio, così come egli è stato (…) Insieme a don Jerzy, piego le ginocchia di fronte al Padre. Chiedo il rafforzamento dell’uomo interiore, imploro il rafforzamento per l’uomo interiore, per tutti i figli e le figlie di questa terra, della mia patria, ora, alla soglia dei tempi che sono giunti e che verranno”.
Alcuni giorni dopo il suo funerale, celebrato il 3 novembre del 1984, incominciarono a pervenire al Primate della Polonia, lettere che chiedevano di iniziare il processo di beatificazione. La Chiesa iniziò il processo di beatificazione nel 1997. Il 19 dicembre 2009 papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto riguardante “il martirio del Servo di Dio Giorgio Popiełuszko, sacerdote diocesano; nato il 14 settembre 1947 ad Okopy Suchowola (Polonia) e ucciso in odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Włocławek (Polonia)”. Domenica 6 giugno 2010, Padre Jerzy Popiełuszko viene proclamato Beato. La solenne celebrazione si è svolta alle 11.00 nella Piazza Maresciallo Józef Pilsudski, ed è stata presieduta dall’Arcivescovo Angelo Amato S.D.B., prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Santo Padre. La cerimonia della sua beatificazione è avvenuta in una data significativa per la Polonia: quella in cui il Paese celebra la “Giornata del ringraziamento per la libertà”, per ricordare il primo viaggio in patria di Giovanni Paolo II, nel giugno 1979. La grande Piazza Pilsudski di Varsavia si è vestita a festa. Sotto un cielo terso, una moltitudine di fedeli ha pregato per il suo amato padre Jerzy.. Alla cerimonia, tra i tanti esponenti istituzionali ed ecclesiali, c’era anche la madre novantenne di padre Popiełuszko, Marianna. “L’arcivescovo di Varsavia, Kazimierz Nycz, ha dato inizio alla cerimonia definendo l’evento “un grande giorno per la Chiesa di Polonia e la patria”. Nella sua omelia, il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, mons. Angelo Amato, ha ripercorso la vita dell’eroico sacerdote assassinato a 37 anni perché diventato troppo scomodo al regime comunista polacco. “Padre Popiełuszko, ha detto, è stato un testimone eroico della bellezza e della verità del Vangelo di Gesù. Un martire che trovò la sua forza nel Signore presente nell’Eucaristia. Con la sua testimonianza, ha affermato l’arcivescovo Amato, padre Popiełuszko ci ha mostrato che i regimi passano come temporali d’estate lasciando solo macerie, ma la Chiesa e i suoi figli restano per beneficare l’umanità con il dono della carità senza limiti”. Il messaggio universale del Servo di Dio Jerzy Popiełuszko, che è quello della fraternità tra gli uomini; del rispetto della dignità di ogni persona umana, anche piccola, indifesa, inerme; della libertà di coscienza, che nessun regime e nessuna ideologia deve violare. L’esperienza tragica del secolo scorso insegna: i regimi e le ideologie passano come tempeste violente, lasciando macerie fisiche e spirituali, mentre la fede cristiana, radicata sul Vangelo, rimane e porta gioia, pace e concordia”. A cura di Ornella Felici
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