CON FRANCESCO E BENEDETTO – Continuano a portare frutto, nonostante la vecchiaia, che non toglie peso agli anni. In piazza San Pietro tre generazioni di famiglia (nonni, figli e nipoti) per vivere insieme un momento di gioia e di gratitudine. Teste bianche serenamente pazienti e partecipi, commosse da chi racconta storie simili alla loro e spesso chinate sui nipoti per rispondere alle loro domande.
“Ero così concentrata sulle parole del Papa… Stava dicendo quello che ognuno di noi direbbe dei propri nonni”. Beatrice, 17 anni, racconta così a Enzo e Luigina, i suoi nonni, la giornata che ha appena vissuto con loro.
Tre generazioni di famiglia – i nonni con i loro due figli, i rispettivi consorti e le cinque nipoti (Sofia e Caterina, 18 anni, Beatrice 17 e Emma 7, manca Arianna, tra pochi giorni 20 anni, perché è a Parigi a studiare, ma dagli sms che manda è come se ci fosse) – in piazza San Pietro per dire “grazie” a tutti i nonni del mondo.
Se dovessi riassumere con una parola la giornata di ieri direi proprio: “gratitudine”. Nonno Enzo (papà) ha 81 anni e da tempo fa i conti con l’Alzheimer, sua moglie Luigina (mamma), 75 anni, lo assiste con caparbietà (non vuol sentir parlare di aiuti) e dedizione ma anche lei deve fare i conti con i suoi acciacchi, molti dei quali cronici. Eppure siamo sul sagrato tutti insieme, “vi sosterrete a vicenda”, ci aveva profeticamente detto un grande amico sacerdote alla cui disponibilità dobbiamo la giornata meravigliosa che abbiamo trascorso. Tutto comincia con un abbraccio: quello tra due nonni speciali, Benedetto – il “nonno saggio” come lo chiama il suo successore e Francesco, che quando prende la parola dice subito “oggi è la vostra festa, la nostra festa”. Le parole del Papa arrivano un’ora dopo l’inizio della festa in piazza san Pietro, la cui prima parte è stata scandita dalle testimonianze degli anziani, intervallate da canzoni cantate con l’anima da Andrea Bocelli, Massimo Ranieri, Claudio Baglioni (soprattutto qui la nostra romanità esce fuori, con la “ola” trasversale alle generazioni scattata unanimemente sulle note di “Strada facendo”). Il colpo d’occhio, dal sagrato fino alla piazza e a via della Conciliazione, che si riempie man mano che la folla affluisce, è quello di teste bianche serenamente pazienti e partecipi, commosse da chi racconta storie simili alla loro e spesso chinate sui nipoti per rispondere alle loro domande o semplicemente segnalare con un dito alzato un momento particolare. I primi sono i nonni iracheni che sono riusciti a far suonare di nuovo le campane del loro villaggio, nonostante la furia devastante di quella “follia” che è la guerra, disumana come è disumana la violenza sugli anziani e suoi bambini, dice il Papa facendo già intuire che il suo intento è quello di riavvicinare le generazioni tra di loro, perché è questa la chiave del futuro. E poi a braccio: “Gli anziani, i nonni hanno una capacità di capire le situazioni più difficili”. Per questo sanno trasmettere la storia di una famiglia, di una comunità, di un popolo. E gli viene semplice, così come viene semplice oggi a questo “popolo” di alberi che continuano a portare frutto – nonostante la vecchiaia, che non toglie peso agli anni – sopportare il caldo da giornata da “bollino rosso” estivo senza colpo ferire, sguardo fisso e attento, occhi a tratti lucidi di lacrime di gioia e condivisione. Quando il Papa parla delle case di riposo raccomandando che “siano veramente case e non prigioni”, la sensazione è che molti dei presenti sappiano bene di cosa si tratti. Applaudono, eppure non smettono di essere – come dice il Papa – “polmoni di umanità” in un paese, in un quartiere, in una parrocchia. Bussole indispensabili nelle ordinarie difficoltà quotidiane ma anche pilastri di cemento armato, se si tratta di mantenere salda la fiammella della fede quando si è vittime di persecuzioni e discriminazioni. Comincia la messa, e quando il caldo mette a dura prova la resistenza i nonni si aiutano l’un l’altro improvvisando cappellini con carta di giornale o si stringono ancora di più ai loro nipoti. La “velenosa cultura dello scarto”, che non di rado si traduce in forme di “eutanasia nascosta”, non appartiene a questo popolo. Oggi, qui in questa piazza, si tocca con mano la voglia di “costruire con pazienza una società diversa”, più umana, che non ha bisogno di scartare chi è più debole nel corpo e nella mente. ”Una delle cose più belle della vita di famiglia, della nostra vita umana di famiglia, è accarezzare un bambino e lasciarsi accarezzare da un nonno e da una nonna”, assicura Francesco. Sì, è così che si può restare “alberi vivi”: è sui nonni, che i nipoti devono “misurare il proprio passo”. di M. Michela Nicolais per Agensir