“In tempo di precarietà c’è speranza se si superano gli individualismi e si recupera la centralità della famiglia, come soggetto produttivo economico e di valori”. Così mons. Nunzio Galantino, segretario generale dei vescovi italiani, intervenendo ieri, a Salerno, nel corso del Convegno organizzato dalla Cei, dal titolo “Nella precarietà la speranza”. Ecco le parole di Mons. Galatino nell’intervista al microfono di Elvira Ragosta della Radio Vaticana
R. – Io penso che la precarietà possa essere letta anche dal versante positivo, nel senso che crea più disponibilità ed anche, qualche volta, la necessità alla disponibilità. La risposta alla domanda se in questo contesto c’è speranza: io penso proprio di sì. Ripeto: non per buttarla sullo spiritualistico; ma c’è speranza, però, soprattutto se tutte queste realtà le lasciamo passare attraverso il superamento degli individualismi sfrenati che oggi da una parte e dall’altra la fanno da padrone. E soprattutto, se si riesce a recuperare una seria centralità della famiglia in quanto soggetto permanente e produttivo, non soltanto sul piano materiale, economico ma produttivo anche sul piano dei valori, che sono quelli che poi sostengono una società sana.
D. – Oggi la famiglia sembra essere quasi un ammortizzatore sociale, proprio per quelle realtà di precariato estremo …
R. – Lo è, lo è … E’ un ammortizzatore sociale: ma non è questa la natura della famiglia. La natura della famiglia è, invece, quella di essere produttiva, non di essere un ammortizzatore sociale. Quindi dobbiamo veramente augurarci che ci si metta tutti insieme per recuperare questo ruolo originario, creativo e produttivo della famiglia.
D. – Sono state tante le testimonianze da parte di giovani e di famiglie da tutta Italia, dei loro progetti anche per superare le difficoltà. Lei ha ricordato: “La Chiesa, però, non può essere supplente di quelle situazioni …”
R. – Sì, perché il ruolo della Chiesa non è quello di essere supplente; la Chiesa è chiamata per fare delle proposte positive, creative, interessanti. Il ruolo di supplenza può valere per un po’ di tempo, ma non può diventare l’altra natura della Chiesa, perché non è questo il compito della Chiesa. L’essere ‘supplenti’ non fa piacere, non deve far piacere a nessuno perché la supplenza di per sé non fa crescere il supplito, assolutamente; e soprattutto, non attiva meccanismi positivi forti, nuovi, creativi per risolvere questi problemi. Fonte: Radio Vaticana