Se uno studia la storia della Chiesa e della preghiera come veniva vissuta già dai primi monaci in Oriente e come viene vissuta ancora oggi in molte comunità religiose si accorge che il problema della respirazione è considerato fondamentale. S. Antonio abate usava salutare i suoi compagni nel deserto, dicendo loro: “Respirate Cristo!”. I primi monaci avevano inventato una formula di preghiera brevissima: “Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”, e la formula mille l volte ripetuta doveva accompagnare il ritmo della respirazione. S. Giovanni Climaco insegnava: “Bisogna che il ricordo di Gesù si unisca intimamente al tuo respiro, e conoscerai il segreto della pace interiore”. S. Ignazio insegnava nei suoi Esercizi: “Bisogna chiudere gli occhi per guardare Gesù nel proprio cuore, e mormorare le parole del Pater, sulla misura del proprio respiro”. E nei salmi si trova sempre, a metà del versetto, un asterisco che avverte: “Qui devi respirare”, e quel respiro fa parte della preghiera.
Ma non si tratta solo di indicazioni “tecniche”. Nella Bibbia il discorso sul respiro dell’uomo è spesso strettamente legato al discorso sullo Spirito Santo. Questo nome che diamo alla terza Persona della SS. Trinità (la PersonaDono, la PersonaAmore) avremmo anche potuto tradurlo (dall’ebraico o dal greco) con l’espressione “Santo Respiro”, “Santo Soffio”, e sarebbe stata la stessa cosa. Ricordate come la Scrittura narra la creazione? Fin dall’inizio c’è lo Spirito di Dio (il suo fecondo Respiro d’amore) che riscalda la massa informe, e così nasce la vita. Poi, al momento della creazione dell’uomo, l’immagine si precisa ancora di più: Dio prende tra le sue mani divine del fango (e S. Ireneo commenta: “Il fango tremava di felicità nelle mani di Dio”) e lo plasma accuratamente, con sapienza e amore; poi avvicina il suo volto alla figura appena plasmata e respira su di essa. L’uomo è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio, ed è divenuto tale fin dal primo momento “biologico” in cui ha cominciato a respirare: un respiro anch’esso fatto a immagine del Respiro di Dio.
Un antico esegeta commentava: “Come il fuoco del fiammifero fa presa sulla fascina di legna, così l’alito di Dio ha fatto presa nei polmoni dell’uomo, ingenerandovi quel ‘va e vieni’ del fiato che è la respirazione. L’uomo rimarrà vivo finché la radice del soffio di Dio non sarà strappata dai suoi polmoni”.
Così ha cominciato a vivere il primo uomo e così ognuno di noi comincia a vivere appena esce dal mistero del grembo materno. Per ogni uomo vivere significa accogliere e conservare in sé questo divino respiro, morire significa che Dio se lo è ripreso. La Scrittura avverte: “Se Dio richiamasse a sé il suo alito, e in sé concentrasse il suo soffio, ogni carne morrebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe polvere” (Gb 34,1415). Anche nel libro dei Salmi è scritto: “Se alle creature Tu togli il respiro, o Dio, muoiono e ritornano nella polvere. Se invece mandi il tuo spirito, le cose sono create, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 2930). Respirare è il nostro vivere, e nel fenomeno della respirazione sono già incluse le leggi dell’ esistenza sia materiale che spirituale. In un testo un po’ strano, ma ricco di osservazioni interessanti di un autore anonimo, ho letto: “I polmoni sanno che bisogna respirare e obbediscono. Si sentono poveri ed inspirano. Amano la purezza ed espirano. Il processo stesso della respirazione insegna le leggi dell’ obbedienza, della povertà e della castità. Cioè, per analogia: le leggi della grazia”. Che bellezza! Il momento più intimo e prezioso del dialogo tra l’uomo e Dio (quello in cui la creatura riceve i tre “consigli evangelici”) è già anticipato nella legge della respirazione umana! E quale pienezza raggiunge questa verità, quando il Figlio di Dio viene tra noi e nel suo umano respirare c’è già una effusione dello “Spirito di Dio” sull’umanità e sulla terra intera!
Il Vangelo è attento a insegnare questa verità decisiva, proprio nel momento in cui descrive la morte di Cristo in Croce: Gesù prima china la testa e poi spira (letteralmente: “consegna il suo spirito”) . È esattamente il contrario di quanto avviene abitualmente: un morente prima spira e poi la testa si abbatte sul suo petto! Ma Gesù no! Da tutto il contesto, è chiaro l’insegnamento che l’evangelista Giovanni vuol dare: ai piedi della Croce c’è la Chiesa che ama Gesù (ci sono Maria, il discepolo prediletto e le donne che non lo hanno mai abbandonato) ed è su di essa che Gesù fa scendere il suo ultimo respiro: Egli non muore soltanto, ma muore perché dona il suo respiro! . Il significato della scena sta appunto in questo: per amore nostro Gesù ha vissuto, per amore nostro ha respirato ogni attimo della sua vita, per amore nostro ha emesso il suo ultimo respiro.
L’ultimo respiro di Gesù è il momento in cui lo Spirito Santo ci viene donato. La scena riceve una conferma alla sera di Pasqua, quando Gesù incontra i suoi discepoli nel Cenacolo e li trova irrigiditi, impauriti, timidi come se non avessero nemmeno fiato per vivere. Cristo si avvicina e li saluta: “Pace a voi!”. Poi alita su di loro e dice: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”. Il Risorto respira sui suoi discepoli, ripetendo quasi il gesto del Creatore, e dona loro la possibilità di vivere una vita nuova.
Quando gli apostoli parleranno dell’identità cristiana diranno: “Dio ha mandato nei nostri cuori il respiro del Figlio che in noi grida: “Abbà! Padre!” (GaI 4,6); e affermeranno che in ciò consiste tutta la loro preghiera, una preghiera ininterrotta e sostanziale come l’atto del respirare. Per capire cosa sia la preghiera cristiana nel suo momento più originario e radicale, ci basterebbe osservare un bambino piccolo come lo osservano a volte i suoi genitori: per giorni e giorni essi lo vedono respirare, emettere suoni disarticolati, e poi finalmente giunge il momento quel momento! in cui lo vedono emettere un respiro che si fa suono e si articola distintamente: “Mamma!”, “Papà!”. Quando il bambino viene al mondo, il suo respiro è un pianto nello sforzo di assorbire ed emettere il soffio vitale, ma tutto è già attesa di quel respiro assieme al quale comincerà ad esprimere la sua. appartenenza, il suo amore. E ciò vale a riguardo dei genitori, ma anche a riguardo di Dio. S. Paolo dice che noi siamo fatti così: dentro di noi lo Spirito anela a pronunciare la parola “Padre”, a chiamare Dio: Padre!
Pregare come respirare può sembrare un modo di dire, ma se uno volesse andare alla radice del suo essere e si chiedesse: “Qual è il momento in cui il mio essere comincia ad articolare la preghiera?”, la risposta biblicamente esatta sarebbe questa: “Lo stesso istante in cui respiro”. Respirare è invocare la vita; respirare è il dono che Dio ci fa minuto per minuto da quella prima volta che ci ha creati. Questa è la nostra preghiera essenziale: si prega come si respira. Possiamo non rendercene conto, ma i santi hanno esperimentato proprio questa verità che li ha affascinati. All’inizio hanno cominciato come noi, faticosamente, moltiplicando atti e atteggiamenti (una preghiera, più preghiere, la giaculatoria, il pensiero rivolto a Dio), poi un po’ alla volta si sono resi conto che pregavano come respiravano. Almeno nel desiderio del loro cuore si rafforzava l’intenzione di non togliere a Dio nemmeno un respiro; e cresceva la coscienza che il contenuto dell’ultimo respiro (quando Dio se lo riprende) non dovesse essere che uno solo: l’invocazione del nome Gesù, un sospiro di desiderio verso il Padre celeste.
I santi volevano arrivare alla fine della vita in modo che fosse assolutamente ovvio il senso e il contenuto del loro ultimo respiro. Io non ho profondissime esperienze di preghiera. Ma una volta ho dato ascolto a una persona saggia che mi disse: “Se vuoi imparare a pregare, cerca di usare tutti i tempi intermedi (quello che normalmente chiamiamo ‘tempo perso’: il tempo in cui devi aspettare una persona che ritarda, il tempo in cui devi spostarti in macchina, il tempo in cui ti rechi da un luogo all’altro.. .); riempi di preghiera quei tempi che si chiamano di solito ‘tempi morti’ e fà che diventino ‘tempi vivi’ “. Non ci voleva molta bravura a farlo. Solo un po’ di costanza. Adesso mi accade che se la notte mi sveglio, la prima cosa che mi viene in mente è dire: “Ave Maria…, Padre Nostro.. .”. È una cosa meccanica, quindi poco meritoria, ma si può offrire a Dio anche una piccola cosa meccanica, quando non si è capaci di fare di più. Perché la nostra mente deve quasi istintivamente portarsi sulle cose più stupide? Perché le nostre fantasie devono vagare senza nessuna regola? Istinto per istinto, non è meglio un “istinto” che mi fa respirare oggettivamente il nome di Dio?
Per i santi era tutta pienezza di coscienza. Pensavano: Dio si merita ogni nostro respiro perché ci dona ogni nostro respiro. Ogni nostro respiro è suo. Possiamo diventare sempre più coscienti che ogni nostro respiro deve essere un sospiro rivolto a Lui. E quando questa coscienza diventa chiara, abituale, ecco che siamo diventati “uomini di preghiera”.
Allora basta anche soltanto dire “Gesù!”, per esprimere quanto il nostro respiro sia diventato chiaro: è un respiro che raggiunge il suo ultimo scopo, che raggiunge l’eternità. Perché non cominciare a dire al Signore la mattina appena ci si sveglia: “Signore, che ogni mio respiro sia tuo! Che ogni mio respiro ti appartenga! Che ogni mio respiro, se deve farsi voce, pronunci il tuo nome!”. Lo Spirito Santo, che ci è stato dato invoca continuamente, pronuncia continuamente il nome di Gesù e invoca il Padre. Lo Spirito Santo, dentro di noi è il respiro del nostro respiro, è la vita della nostra vita, è il soffio vitale dentro il nostro soffio vitale. Ecco fino a che punto noi siamo persone che pregano! Se io sono davanti ad una persona che non ha mai pregato, che non sa come si fa, che ha paura di tutte le difficoltà che dovrebbe incontrare per imparare a pregare, la prima cosa che devo dirle è: “Tu già preghi, tu sei già un essere che prega. Perfino il tuo respiro è già preghiera: Dio ti ha fatto in modo che perfino il tuo respiro sia rivolto a Lui e tenda a Lui. E se ciò è vero per ogni essere umano, è ancora più vero per un cristiano: quando hai ricevuto il Battesimo, Dio ti ha dato il suo stesso Respiro!”.
Noi uomini siamo tutti “esseri che pregano”, consapevolmente o inconsapevolmente.
Tuttavia la “coscienza di pregare” e il “volerlo fare” restano fattori determinanti, perché è anche necessario “pregare come si ama: con tutto il proprio essere”, come ripeteva spesso Alexis Carrel. Ogni uomo prega come respira, ma ogni uomo ha diritto di conoscere l’Amore per il quale sospira. Quando, però, si parla di “amore nella preghiera, non bisogna farne una questione di sentimenti o di emozioni. Non bisogna tramutare la nuda oggettività del “pregare come respirare” in un’ attività complessa e sentimentale. Deve continuare ad essere una questione totale, una questione di esistenza.
Madeleine Delbrél spiegava:
“Quando si prega, bisogna domandare con tutto il nostro essere ciò di cui abbiamo bisogno, per noi stessi, per tutta la Chiesa, per il mondo intero. Questo significa fare della preghiera una respirazione a pieni polmoni!”. Ed insisteva, anzi, sul fatto che pregare significa instaurare relazioni vitali, tutte tese ad una oggettiva e sana collocazione di se stessi in relazione con Dio: “Tu non puoi compiere ciò che Dio ha riservato a te di fare nel mondo, se non intrecci con Lui concrete relazioni, se cioè non preghi. Ma la tua preghiera, a tale scopo, deve diventare per te indispensabile come mangiare, bere, respirare”.
Ad osservare bene, tutta la fede cristiana si radica su esperienze elementari. Si dice di solito: “Fede è instaurare un rapporto con Dio!”. Ma, se fai amicizia con Gesù, senti che Lui ti dice: “Io sono Figlio di Dio. Sai cos’è un rapporto con me? E’ respirare (pregare); è lavarsi (ricevere il Battesimo); è mangiare e bere (ricevere l’Eucaristia); è ascoltare e leggere (meditare la Parola che io ti annuncio); è camminare (seguire le mie orme); è amare il mio corpo e tutto ciò che è mio (la Chiesa)”. Così tutto il rapporto dell’uomo con Dio si va a radicare sulle funzioni primarie dell’ essere umano: respirare, mangiare, bere, perfino “far l’amore” (attraverso il sacramento del matrimonio). Tutto ciò è fondato sulla serietà assoluta della sua Incarnazione. Gesù è venuto sulla terra e ci ha imitato in tutto. Diceva Péguy che la vera, grande “imitazione di Cristo” non è quella che noi facciamo di Gesù, ma quella che Lui ha fatto di noi quando ha imitato il nostro nascere, il nostro vivere, il nostro respirare, il nostro mangiare e bere, il nostro soffrire, il nostro morire. Da quando Lui ci ha imitato noi possiamo fare le cose più elementari della nostra vita cristianamente, divinamente. Nel cristianesimo è più importante capire la grandezza e la profondità dei gesti elementari del vivere che capire il significato dei grandi gesti. Anzi, nel cristianesimo è impossibile compiere grandi imprese, se prima non si sono compiuti, con amore quotidiano e con fede quotidiana, i mille piccoli gesti dell’ esistenza. Pensiamo ai sacramenti: sono gesti grandi, gesti miracolosi inventati da Gesù. Ma essi sono stati possibili perché c’erano stati prima i normalissimi gesti della Sua vita terrena. Pensiamo a quel primo momento in cui Gesù ha preso un pezzo di pane e ha detto: “Prendete e mangiate questo è il mio corpo!”. Era il più grande dei miracoli! E tuttavia era “fondato” su ciò che era accaduto tutti i giorni, durante tutti i suoi trentatrè anni: in ogni giorno della sua vita terrena il pane che Gesù mangiava era diventato suo corpo (corpo di Dio!)! È un miracolo che un po’ d’acqua, versata sul capo di un bambino o su un adulto convertito, lo lavi al punto da renderlo “figlio di Dio”. Ma ciò non sarebbe stato possibile se l’acqua non avesse davvero lavato il corpo del Figlio di Dio incarnato! È un miracolo che Dio ci abbia rivelato il nome proprio di Dio (“Abbà!’: “papà!”), ma ciò non sarebbe stato possibile se Gesù non avesse prima imparato a balbettare questa parola, rivolgendola a Giuseppe.
“SIGNORE, OGNI MIO RESPIRO È GIÀ TUO!”
Torniamo, dunque, alla preghiera. Qualsiasi preghiera impareremo a fare (dalla più semplice alla più intima e perfetta) dobbiamo radicarla sulla richiesta di questa prima grazia: “Signore, ogni mio respiro è già tuo. Ogni mio respiro vorrebbe già pronunciare il tuo nome. Ogni mio respiro è già un respiro d’amore per te”. Potremmo considerare questa formula come la preghiera che contiene già ogni altra preghiera, come la preghiera che introduce e rende possibile ogni altra preghiera. S. Tommaso d’Aquino arriva a dire che ogni uomo vivente su questa terra ama Dio più di quanto ami se stesso, e questo per natura! Se un uomo ama qualcosa d’altro più di Dio è perché è diventato innaturale. Ciò significa che tutto ciò che in un essere umano può chiamarsi amore, tutto è già, per sua natura, indirizzato a Dio. “Signore, di me tutto ti appartiene; ogni mio respiro tende a Te”: è così che si comincia a pregare nel mondo!
Quando questa sera andrete a letto, dite: “Signore Gesù, in pace mi addormento, ma fa che ogni mio respiro, anche nell’incoscienza del sonno, sia tuo”, e già offrendo questo, avrete cominciato a pregare nel mondo, a pregare per il fatto stesso di esistere. E lo stesso dovrebbe avvenire domattina, quando aprirete gli occhi, spalancherete la finestra e farete il vostro primo profondo e cosciente respiro, come se diceste a voi stessi: “Sono lieto di essere al mondo, prego per il fatto stesso di respirare, e il mio cuore si riempie di gratitudine!”.
Redazione Papaboys (Fonte www.novena.it)
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