Caritas et Veritas

Preghiamo per tutti coloro che sono nella tristezza e nella solitudine mentre noi festeggiamo

“Voglio abbracciare con silenzi la notte in cui mi trovi, solo, ferito, spento dalla morte che oggi scorre nelle mie vene…”

Quando gli altri non fanno caso a noi, quando pensiamo di non essere importanti, quando gli altri non tengono conto di noi, la nostra anima viene ferita. Con ferite profonde, sentendoci invisibili, indifferenti per gli altri. Le ferite che abbiamo quando non veniamo valorizzati, quando siamo solo un numero, quando altri brillano più di noi…

Quando però qualcuno ci guarda più profondamente, vede ciò che sentiamo dentro, ci chiede come stiamo, si ferma nel suo cammino e ci dice che senza di noi la sua vita non sarebbe uguale, che ci vuole bene, che ha bisogno di noi, tutto si calma. Tutto guarisce.

È questo che fa Dio con noi. Ci guarda. Sa cosa ci succede. La nostra inquietudine, la nostra ferita che sanguina. Si lascia toccare. Si ferma. Ci abbraccia. Ci guarisce con il suo amore personale che ci dice che ci stava aspettando, che ci ama per come siamo, che ha bisogno di noi, che gli importa di noi.

Diceva papa Francesco: “Quante volte penso che abbiamo paura della tenerezza di Dio e per il fatto che abbiamo paura della tenerezza di Dio non lasciamo che essa si sperimenti in noi stessi. E per questo tante volte siamo duri, severi, castigatori… Siamo pastori senza tenerezza. (…) Noi non crediamo in un Dio etereo, crediamo in un Dio che si è fatto carne, che ha un cuore”.

Mi piacerebbe avere molta fede. Mi piacerebbe essere capace di vincere le paure e di toccare Gesù. E quelli che portano Gesù nell’anima. Toccare la vita che mi viene regalata. Non temere. Chiedere aiuto.

Tutti abbiamo bisogno di essere guariti. Da cosa voglio che mi curi oggi Gesù? Qual è la mia ferita? Una persona pregava:

[box]“ Voglio avanzare sulla via che hai progettato per me.
Mi sbaglio tante volte…
Mi perdo e mi trovi sempre. Mi cerchi per le vie quando non so dove vederti, né toccarti, né volerti.
Voglio abbracciare con silenzi la notte in cui mi trovi.
Solo, slegato, ferito. Spento dalla morte che oggi scorre nelle mie vene.
Voglio correre e sedermi. Toccare con le mie mani spezzate. Trattenerti in un tentativo di evitare che ti allontani.
Voglio guardare con voce sommessa. Voglio essere ciò che non sono stato, abbracciato dalle tue mani. E tornare ad essere eterno.
Voglio accarezzare la luna che sogno dentro di me.
Voglio vestirmi di vita. Lasciare la morte da parte. Colorarmi di un sole intenso.
Voglio essere. Voglio vivere. Voglio amare. Voglio, sì, ciò che Tu vuoi”[/box]

Ci manca però la fede nel potere guaritore di Gesù. Per essere guariti, abbiamo bisogno di toccare i luoghi santi. A volte, però, non ci avviciniamo a chi ci dà la vita, ma a chi ce la toglie. Non tocchiamo quello che ci salva, ma quello che ci incatena. Non siamo audaci.

Mi piacerebbe rendere sempre vita ciò che dice il ritornello di una canzone: “Voglio toccare, Signore, il tuo mantello. Voglio sentire la tua voce gridare: alzati, parlo con te, alzati”. Senza paura, senza doverlo chiedere a parole. Semplicemente avvicinarmi a Lui di nascosto e toccare il suo mantello.

Quanta fede! Mi piacerebbe credere nel suo potere guaritore. Tutti siamo malati, feriti, soli.

Di Padre Carlos Padilla per Aleteia
Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti
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