Etty Hillesum, nata in una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, è morta ad Auschwitz nel novembre del 1943. Questo suo diario è stato pubblicato per la prima volta nel 1981 con immenso successo paragonabile a quello che accolse il diario di Anna Frank.
Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori
non posso prometterti nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,
e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in
questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare in questi
tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzetto di te in noi
stessi, mio Dio.
E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri
uomini. Si, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le
circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in
causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E
quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci,
ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.
Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo
aspira polveri, forchette e cucchiai d’argento, invece di salvare te, mio Dio. E
altre persone, che sono oramai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli
paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: non mi
prenderanno.
Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è
nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo
questa conversazione con te.
Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in
questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri,
mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io
continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio
territorio.
Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma sono piuttosto le
mille piccole preoccupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a mordermi come
altrettanti parassiti. Be, allora mi gratto disperatamente per un po’ e ripeto ogni
giorno: per oggi sei a posto, le pareti protettive di una casa ospitale ti scivolano
sulle spalle come un abito che hai portato spesso e che ti è diventato famigliare,
anche di cibo ce n’è a sufficienza per oggi, e il tuo letto con le lenzuola bianche e
con le sue calde coperte è ancora lì, pronto per la notte e dunque, oggi non hai
diritto di perdere neanche un attimo della tua energia in piccole preoccupazioni
materiali.
Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata e rendila fruttuosa,
fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e
angoscioso futuro.
Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste
di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere
scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche
parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero
come sempre e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio. Vedi
come ti tratto bene. Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma ti
porto persino in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino
profumato.
Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino e sono veramente tanti.
Voglio che tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi ritrovassi
richiusa in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola
inferriata, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora
la forza.
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