L’Italia purtroppo, oltre alla pandemia ed alla conseguente crisi, si ritrova sempre più a fare i conti con risse tra ragazzini.
Frustrazione da pandemia, mancanza di figure di riferimento in famiglia, scuola a distanza, l’assenza dello sport. Ma anche l’iperconnessione e, tavolta, droga e alcol.
Sono tante le micce che accendono ragazzi sempre più giovani, spesso minorenni. Soprattutto ora che sono venuti a meno i momenti di aggregazione e il forzato isolamento allarga il disagio. Un focus nel recente report della polizia sui reati commessi dai minori on line cita «le baby gang virtuali che organizzano pestaggi sui social e poi diffondono il video e i fight club, cioè l’uso delle app per promuovere risse a cui partecipano decine di ragazzi con tanto di spettatori».
Le scazzottate tra giovani non sono una novità, ma oggi i dati sono allarmanti: secondo l’Osservatorio nazionale adolescenza il 30% dei ragazzi ha partecipato a una rissa, il 6,5% degli under 18 fa o ha fatto parte di una banda giovanile: questa degenerazione è indicativa di un cambio radicale di mentalità.
Dalla maxi rissa con 400 baby bulli al Pincio di Roma alla baraonda di Rialto che ha scosso Venezia, fino alle recenti botte del Varesotto: 100 minorenni si sono dati appuntamento in chat coi bastoni e mazze a Gallarate e in centro, tra le automobili, hanno cominciato a picchiarsi. Modena, ha raccontato al nostro giornale un testimone, l’altra notte «sembrava Caracas».
«Gli adolescenti che in gruppo mettono in atto comportamenti anti sociali e trasgressivi ci sono sempre stati, anche se sono influenzati dalla pandemia, soprattutto in questa seconda fase dove il sentimento di coesione è minore e vi sono più frustrazione e rabbia per una situazione della quale ancora non si intravede la fine», spiega Massimo Cozza, psichiatra e direttore del dipartimento di Salute mentale Asl Roma 2. «L’adolescenza è spesso associata alla trasgressione, e le regole anti Covid sono una ottima occasione di trasgressione», aggiunge Cozza. Secondo i dati Eurostat siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di giovani ‘Neet’ (Not in education, employment or training) che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione: un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni. «In gruppo c’è una diminuzione della responsabilità individuale e un sentimento di condivisione con un proprio simile, che può mancare in famiglia», conclude lo psichiatra.
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