Presidente, si ricordi la dignità del lavoro

Al momento in cui scrivo sono 7.700 retweet e 7.300 preferiti al tweet di Renzi per il neo eletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non è una conta sterile o pavona ma è come il suono delle voci in una chiacchierata: qualcosa di necessario. Sto parlando della frase: “Buon lavoro, Presidente Mattarella! Viva l’Italia”.

Non voglio fare un’analisi politica, voglio dire che “buon lavoro” non è una frase impettita, di quella che ci si dice tra presidenti. Sono parole che ce lo scambiamo tra noi la mattina in casa con le persone che salutiamo sulla porta. Con il giornalaio. Con il garagista da cui prendiamo la macchina o il portiere dello stabile in cui lavoriamo. A volte è solo buona educazione, però io non voglio credere che sia così perché il lavoro è cosa buona.

Mi ricordo le parole di Papa Francesco il primo maggio 2013, festa del lavoro, festa delle cose buone. Voglio credere che Renzi e Mattarella sappiano che senza lavoro un uomo perde la sua dignità: “Perché il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane: il lavoro ci dà la dignità! Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni». La dignità è il vestito buono della nostra anima. La dignità è il vestito che ci permette di poter uscire di casa e di stare tra di noi. Non è solo accessoria, è essenziale. Quel giorno il Papa si chiedeva se era lavoro, un lavoro a 38 euro al mese. Si chiedeva se era lavoro, un lavoro senza sicurezza, senza protezione, senza orario, senza igiene, senza dignità, e diceva di no. Lo chiamava “lavoro schiavo”. “La dignità non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no!… La dignità ce la dà il lavoro»”. Parole importanti che voglio ricordare oggi – e per questo le scrivo qui – perché l’Italia sta iniziando un altro capitolo della sua storia, e spesso vede disattese le parole del Papa sul lavoro che disattendiamo ogni giorno. Pochi pensano che il lavoro sia un male necessario, per moltissimi è un miraggio e troppi hanno rinunciato a cercarlo. Eppure lavorare è come camminare. Se un bambino non si mette in piede entro i diciotto mesi, qualcosa non va, qualcosa di importante non va. Per un uomo, è qualcosa di simile. Se entro i diciotto mesi dall’entrata nel mondo del lavoro, un cittadino – maschio o femmina che sia, non importa – non ha trovato la sua scrivania, qualcosa d’importante non va. Non è solo che non trova posto, è che non trova posto nel paese la sua umanità: muore piano piano. Non sto esagerando. Avete mai parlato con un uomo che ha perso il lavoro o con un ragazzo di trenta, trentacinque anni che cerca lavoro da dieci quindici anni? Avete mai parlato con una donna che per avere lavoro ha firmato che non ha, e non avrà in futuro, alcun impegno familiare?

Mi sembra bello iniziare una pagina della nostra storia con un tweet che augura buon lavoro. Non mi sembra ci sia altro da aggiungere se non, forse questo: buon lavoro. Buon lavoro.

Di Don Mauro Leonardi

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