Sonia Khediri, Alice Brignoli, Meriem Rehaily, Maria Giulia Sergio. Nessuno sa che fine abbiano fatto le quattro italiane, musulmane dalla nascita o convertite all’islam, che hanno deciso di viaggiare in Siria per unirsi allo Stato islamico. Ma Fausto Biloslavo, inviato del Giornale a Raqqa, la capitale siriana del Califfato, da settimane sotto assedio da parte delle forze curdo-siriane, ha raccolto delle testimonianze esclusive, rese dalle mogli dei mujaheddin che si sono arrese alle milizie curde. Secondo una di queste, un’italiana sarebbe stata lapidata per adulterio.
«ANCHE SONIA VOLEVA VENIRE». Khadeja Aum Barqa, coperta dalla testa ai piedi dal burqa, è la moglie di un jihadista tunisino arrivata cinque anni fa a Raqqa. Oggi vive segregata in una zona separata del campo profughi di Ein Hissa, dove arrivano gli sfollati di Raqqa. È qui che Biloslavo l’ha incontrata. «Ho conosciuto Sonia due mesi fa e siamo diventate amiche», racconta. «Volevamo che si consegnasse anche lei, ma suo marito Abu Hamza ha giurato: “Sono pronto a morire in battaglia con mia moglie”».
TRASFERITE NELLA NUOVA CAPITALE. Abu Hamza non è un terrorista qualunque, l’emiro tunisino è considerato attualmente il numero due dell’Isis. Sonia è stata convinta a unirsi all’Isis da un predicatore durante un viaggio in Tunisia. Dopo aver intrattenuto diversi scambi con lui, anche dopo essere tornata a Treviso, a 19 anni è partita alla volta di Raqqa con l’idea di sposarlo. Qui però le hanno annunciato che era morto, perciò «si è proposto Abu Hamza, che però ha 38 anni, molti più dell’italiana. Penso che Sonia volesse scappare come noi, ma il marito l’ha mandata ad Al Mayadeen (sud-est di Raqqa, ndr), la nuova “capitale” dello Stato islamico». Sonia ha avuto una bambina e sarebbe di nuovo incinta. Ad Al Mayadeen dovrebbe vivere anche Alice Brignoli, nata a Bulciago nel lecchese, che si è trasferita a Raqqa con i figli seguendo la volontà del marito tunisino dopo la conversione all’islam.
«LAPIDATA VICINO ALLA MOSCHEA». La testimonianza più drammatica raccolta da Biloslavo è quella racconta da Nour, sposa libanese di un jihadista, e riguarda un’italiana conosciuta solo col nome Aum al Mugera Italano. «Lo scorso anno vivevo con una giovane italiana nella “casa nera”, una specie di guest house delle donne straniere a Raqqa. Un giorno non è rientrata. Mi hanno detto che la polizia religiosa l’aveva arrestata per aver fatto sesso con un ragazzo locale. Le hanno detto che se confessava il “peccato” sarebbe stata perdonata e lei ha ammesso la relazione extraconiugale. È stata portata vicina alla moschea Al Nour e lapidata a morte».
LADY JIHAD È SCOMPARSA. Nessuna traccia invece di Maria Giulia Sergio, milanese che ha assunto il nome di Fatima Zahra. La donna ha fatto perdere le tracce dopo essere stata localizzata dalla Digos per l’ultima volta nel 2015 a Sed Forouk, zona militarizzata dove si erge un’importante diga sull’Eufrate. Riconquistata lo scorso anno dai curdi, la gente del posto dice di ricordare il marito di Maria Giulia, Aldo Kobuzi. «L’ho incrociato più volte alla diga. Faceva parte del gruppo albanese», rivela un dipendente della diga. Ma dopo la liberazione nel gennaio 2016, Lady Jihad ha fatto perdere del tutto le sue tracce.
Fonte Prigioniere e lapidate le italiane con l’isis | Tempi.it
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