Non andrà in vacanza la politica, anche quest’anno. Dovrebbe invece, a credere al calendario, finire quella campagna elettorale permanente che ormai da tempo domina la scena: non ci sono in vista elezioni di alcun genere, almeno a breve termine. Ci sarebbe allora modo, spazio, tempo, insomma non per il rumore, ma per l’iniziativa della politica. Addirittura, prendendo a prestito un termine antico (e assai ambiguo) si potrebbe addirittura parlare di un nuovo, possibile “primato della politica”.
Al netto di una inevitabile dose di retorica infatti c’è proprio questo, al fondo della denuncia della tecnocrazia, del sistema delle banche e dell’alta finanza, del potere degli altri burocrati e del cattivo funzionamento della burocrazia, e ancora, del potere dei sindacati. C’è, nel discorso pubblico, la denuncia di una situazione di stallo e il tentativo di interpretare in termini politici un appello pressante da parte di cittadini.
Il passaggio è (molto) confuso. Sono queste le parole d’ordine di molti movimenti cosiddetti “populisti”, ma sono anche i temi su cui ha ottenuto un largo consenso lo stesso Renzi, con l’impegno di tradurre la denuncia, chiara ed efficace, in politiche di riforma, non solo in Italia, ma a livello dell’Unione europea, per quel poco o tanto che valga la presidenza semestrale. Ha riaffermato Renzi, ormai insediato: “L’Europa non è la patria dei tecnocrati”.
La politica insomma, primato o non primato, cerca un proprio spazio nuovo, in una situazione in cui le identità e le articolazioni degli schieramenti sono in complicato divenire. Molto bene: come ha ricordato lo stesso Papa Francesco in Molise la politica ha un ruolo decisivo, anche e soprattutto oggi. Ovviamente nel rispetto degli standard etici, che purtroppo non sono un optional e rilanciano, nella terza, come nelle altre repubbliche, la questione morale.
Lo standard morale, su cui bisogna essere sempre molto vigili, però è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Il “primato della politica”, insomma, anche in questa versione 2.0, non può restare un discorso. Deve necessariamente arrivare alla prova dei fatti, ovvero delle politiche pubbliche: non le riforme fatte tanto per farle e poi lasciate a metà o non attuate, ma quelle che rendono il sistema più giusto, più efficiente, più produttivo.
E questo implica ritrovare, dopo la giusta denuncia e i necessari interventi, un rapporto con gli interessi aggregati, le corporazioni, gli apparati: non come i famosi ladri di Pisa, che di giorno, ovvero nella retorica delle dichiarazioni, se le danno di santa ragione e poi di notte, ovvero nel chiuso delle segrete stanze, fanno affari insieme.
È il passaggio difficile, ma ormai necessario di questa estate di lavoro, di questo semestre di passaggio. In termini più strutturali è per Matteo Renzi la sfida del consolidamento della sua leadership, in Italia e in Europa. E perché emerga in Europa è necessario fare il lavoro difficile in Italia: presto e bene. A cura di Redazione Papaboys fonte: Agensir