Il dato di realtà è semplice (ma pare che la realtà valga ben poco, davanti all’ideologia): favorevoli o contrari, tutti sono d’accordo che la Legge 40 sia stata radicalmente modificata. Ma allora dovrebbero essere tutti d’accordo che, visto il significativo mutamento, non si può procedere alla cieca, ma è dovere delle istituzioni (in questo caso del Ministero) costruire nuove procedure, per fare in modo appropriato quello che prima non si poteva fare. Non si tratta di problemi marginali: l’anonimato del donatore, il numero di donazioni possibili, la gestione delle differenze tra le diverse “forme” della genitorialità, l’organizzazione delle varie banche dati, le procedure, la gestione dei possibili conflitti tra le diverse “maternità” che entrano in gioco…
A meno che la fretta che spinge molti medici e giuristi oltranzisti sia guidata da una gelida razionalità ideologica, che non si preoccupa delle persone in gioco e dei drammi che inevitabilmente si verificheranno, ma vuole solo rivendicare l’assoluta libertà di azione di ciascuno, senza poter esercitare un ruolo di custodia del bene comune. Oppure, motivazione meno nobile, ma forse ben più rilevante, e altrettanto gelida, la fretta riguarda l’urgenza di sfruttare un grande business economico, ma anche di visibilità pubblica e di immagine, per cliniche, intermediari e per opinion leader scomparsi dalle pagine dei giornali, e oggi nuovamente alla ribalta. Basta vincoli, ora è finalmente ora di fare affari! Peccato che questo business, senza attenta regolazione, rischi di essere fatto sulla pelle delle persone: donne sfruttate come “incubatrici viventi”, bambini ben poco garantiti nei loro diritti di conoscenza delle proprie origini, e le stesse coppie che chiedono la procreazione medicalmente assistita, che verranno lasciate sole davanti ai dilemmi etici e relazionali che già ben conosciamo, però dopo essere state ben spolpate dai vari affaristi della provetta selvaggia.
Non credo affatto che la possibilità della fecondazione eterologa sia un bene, ma si faccia in modo che almeno la sua gestione all’interno del servizio pubblico venga gestita con serietà e responsabilità pubblica. Dunque, non abbandonata alle libere e potenti forze di un mercato che a tutto pare interessato, tranne che al bene delle persone.
Di Francesco Belletti* per Agensir
(*) presidente del Forum delle Associazioni Familiari
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