Procure in allarme. Per Don Ciotti è pericolo: ‘La scorta non basta’

PALERMO . Per don Luigi Ciotti è allarme rosso. Il fondatore di Libera è in questo momento l’uomo più a rischio d’Italia, tutte le mafie lo vogliono morto. L’allerta arriva da varie procure d’Italia (da Torino a Palermo e Caltanissetta fino alla Direzione nazionale antimafia) e da fonti investigative che hanno raccolto informazioni provenienti dalle carceri. Nei penitenziari girano voci su un possibile “cavallo pazzo” che potrebbe attentare alla vita di don Ciotti per “accreditarsi” all’interno delle cosche.

Minacce che si aggiungono dunque a quelle pronunciate dal capo dei capi di Cosa Nostra Totò Riina, il quale nelle sue conversazioni intercettate durante l’ora d’aria con il detenuto Alberto Lo Russo, ha fatto spesso riferimento al sacerdote di Libera. Lo vorrebbe morto. Da fonti giudiziarie si è appreso che in questi ultimi giorni il “caso don Ciotti” è al centro dell’attenzione e si stanno studiando interventi per rafforzarne la rete di protezione. «La sua associazione — spiegano — gestisce gran parte dei beni che vengono confiscati a mafia, camorra e ‘ndrangheta. E quando ai padrini togli i loro beni, anche se a confiscarglieli non è don Ciotti ma lo Stato, si tocca un nervo scoperto. Nell’immaginario collettivo della bassa criminalità il responsabile è lui, don Ciotti».

Il sacerdote attualmente è un bersaglio molto vulnerabile: da anni gira in lungo ed in largo per l’Italia partecipando a dibattiti contro la criminalità organizzata. Ha una scorta che, a parere degli esperti, allo stato è insufficiente. «Ogni volta è necessario — sostiene la stessa fonte — fare una bonifica preventiva dei luoghi pubblici dove va». L’allarme sul fondatore di Libera era già scattato nei mesi scorsi quando sono venute fuori le conversazioni intercettate in carcere di Totò Riina che, senza tanti giri di parole, con Alberto Lo Russo minaccia di morte don Luigi Ciotti, “colpevole” di gestire attraverso Libera il tesoro delle mafie: terreni, palazzi, stabili, aziende confiscate. «Potremmo pure ammazzarlo», disse un anno fa Riina, non risparmiando aggettivi pesanti nei suoi confronti: «miserabile» e «vigliacco», così lo definì, sfogando la sua rabbia perché il sacerdote, tra le altre cose, non aveva avuto «il coraggio » di incontrarlo in carcere.

Il riferimento è ad un episodio rivelato da Repubblica nell’aprile del 1998, ma avvenuto due anni prima. La moglie del capo dei capi di Cosa Nostra, Ninetta Bagarella, si era incontrata segretamente con Don Ciotti chiedendogli di andare a trovare in carcere il marito. Don Ciotti ha confermato l’esistenza dei contatti con la donna, affermando però di avere sempre agito in accordo con gli organi competenti e cioè con la procura di Palermo allora diretta da Giancarlo Caselli. Ma l’incontro non avvenne mai perché don Ciotti aveva chiesto alla moglie di Riina che marito formalizzasse la richiesta al ministero di Grazia e giustizia o con altre autorità competenti.

Il mancato incontro avrebbe fatto infuriare Totò Riina che a Lo Russo ha confidato di essere interessato a vedere don Ciotti «per dirgli in faccia» che lui, il fondatore di Libera, non doveva fare «il parrino (il prete, ndr) ma il commissario». E, naturalmente, il boss si è lamentato molte volte del fatto che lo Stato continua a sequestrare e confiscare i beni dei mafiosi che in parte vengono poi gestiti dall’associazione. Minacce, queste di Riina, rivolte anche nei confronti del pm di Palermo, Nino Di Matteo impegnato nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Tutto ciò potrebbe indurre qualcuno, spiegano gli investigatori, a compiere un attentato nei confronti di don Ciotti per accreditarsi agli occhi della organizzazione criminale a cui appartiene o alla quale vorrebbe appartenere.
 
FRANCESCO VIVIANO, la Repubblica | 29 set 14

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