Prostituzione controllata a Roma. Sindaco Marino fermati! È un favore al racket. Parola di prete

donaldodonaldoDon Aldo Buonaiuto, che esprime la voce di tanto mondo cattolico incredulo dalle ignobili decisioni, chiede al Sindaco Marino di fermarsi sull’istituzione delle zone dedicate al sesso a pagamento.

Il mondo cattolico non ha nascosto la sua contrarietà alla decisione di «istituzionalizzare» le strade del sesso all’Eur. Don Aldo Buonaiuto è stato a lungo uno dei più stretti collaboratori di don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Giovanni XXIII che a partire dalla fine degli anni Ottanta ha salvato dal degrado della prostituzione e dalla schiavitù degli sfruttatori circa 9.000 ragazze.

Qual è il suo parere su questo provvedimento?
«Intanto non dobbiamo essere ipocriti. In Italia la prostituzione non è vietata, sono vietati lo sfruttamento e il favoreggiamento. Questo significa che chi parla di legalizzazione vuole qualcosa di più. Il pericolo con questo tipo di iniziative è proprio quello di favorire la prostituzione».

Con zone protette?
«Protette per chi? Per i clienti che non vengono multati, che sanno di poter andare con le prostitute senza essere disturbati e senza disturbare la quiete dei residenti? Siamo di fronte a una regressione civile e culturale, non solo morale. Così non si fa altro che creare nuovi ghetti, proprio nel cuore della cristianità, nella città del Papa che denuncia in continuazione i mercanti di esseri umani, chi vuole speculare sui più deboli. È lo squallore degli squallori».

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Dunque creare zone riservate alla prostituzione è inutile?
«Certo. Bisogna rendersi conto che chi si vende per strada non ha nulla a che vedere con le escort di alto bordo che lo fanno volontariamente. Sono ragazze portate in Italia con l’inganno, il 40% sono minorenni, non hanno la libertà di scegliere nulla, sono schiave. Anche in queste notti, col gelo che c’è, le troviamo seminude, sempre allo stesso punto che viene assegnato loro dal magnaccia. Ma di cosa parliamo? Creare strade del sesso per salvare le donne o per creare altri profitti, fare un favore alla criminalità e risolvere in modo finto il problema? È un’idea sbagliata perché i primi sfruttatori, i primi finanziatori del racket sono i clienti. Se non ci fosse la domanda diminuirebbe l’offerta: vogliamo incontrare il sindaco Marino, auspichiamo che il Comune ci ripensi. Perché incrementare la prostituzione?».

Quante sono le ragazze che si vendono?
«In Italia arrivano a circa 100.000, soprattutto romene e nigeriane, poi moldave, albanesi e ucraine. I clienti maschi invece calcoliamo che siano circa 9-10 milioni l’anno».

In altri Paesi quale linea è stata adottata?
«L’Unione Europea ha dato indicazioni di seguire l’esempio di alcuni Stati del Nord dove la punizione del cliente ha disincentivato l’offerta. Da noi invece si pensa di creare un luogo dove poter agire indisturbati, proprio quando l’Olanda ammette di aver fallito con l’esperimento dei quartieri a luci rosse, di fatto diventati un Bronx in mano alla criminalità organizzata».

Qual è invece l’esperienza della Comunità Giovanni XXIII?
«Don Benzi cominciò la sua opera alla fine degli anni Ottanta in quella che allora era la capitale della prostituzione, Rimini. Non c’era un metro di marciapiede libero. Avviò un’operazione fortissima, coinvolgendo le forze dell’ordine e tutte le istituzioni preposte, con quello che poi è diventato il “metodo Rimini”. Le associazioni furono coinvolte per accogliere le ragazze, si intensificarono multe, divieti di sosta, controlli e fogli di via: un pressing che portò a una drastica diminuzione dei clienti. U na volta superata questa fase “acuta” di impegno intenso, di qualche mese, poi è sufficiente “mantenere” una normale vigilanza».

Ma non si corre il rischio di spostare semplicemente il problema da un’altra parte?
«In varie province italiane il sistema funziona. E anche, come ho detto, in altri Paesi, come la Svezia e ora ha iniziato anche la Norvegia».

E allora per togliere le prostitute dalle strade non sarebbe opportuno, come propone qualcuno, riaprire le case chiuse?
«No, perché sarebbe come dire che bisogna avere comunque carne umana a disposizione per essere comprata. È una questione di civiltà: una relazione non si acquista, al massimo si conquista. All’aperto o al chiuso si tratterebbe sempre di ghetti. Per noi è incivile e disumano che ci possano essere persone da usare per gli sfoghi e le perversioni di altri. E poi non nascondiamoci dietro un dito. Già esistono luoghi al chiuso in cui si esercita la prostituzione: night club, priveé, sexy restaurant, appartamenti. E per favore, evitiamo anche frasi fatte come “la prostituzione c’è sempre stata”. Ma che significa? Il fenomeno non è lo stesso di 20, 50 o mille anni fa. Ci sarà sempre ma la tratta di esseri umani come quella di oggi non ha nulla a che fare con il passato».

Intervista tratta da Il Tempo

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