Il 16 agosto del 1815 nasceva Giovannino Bosco, in una cascina, in una piccola frazione, “I Becchi” di Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco, figlio di Francesco Bosco e Margherita Occhiena. Il padre era rimasto vedovo di un precedente matrimonio e aveva già avuto due figli, di nome Antonio e Teresa Maria, anche se la seconda era morta dopo appena due giorni dalla nascita. Oltre a Giovanni, ebbe da Margherita Occhiena un altro figlio, che chiamò Giuseppe.
Francesco Bosco, il padre, quando Giovanni aveva ancora due anni, contrasse una grave polmonite che lo condusse alla morte nel maggio del 1817, lasciando così la moglie Margherita vedova con tre figli da accudire, oltre alla madre del marito, anziana ed inferma.
Furono anni molto difficili per mamma Margherita; molta gente morì a causa della fame e delle epidemie. Margherita riuscì a sopravvivere insieme ai suoi figlioli solo comprando, a caro prezzo, il grano dal sacerdote Don Vittorio Amede, ritenuto un vero e proprio strozzino. Da grande, divenuto sacerdote, fu il fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Oggi lo ricordiamo insieme con questa testimonianza.
Mi chiamo Francesco Dalmazzo, d’anni 47, nato a Cavour (Torino), sacerdote, salesiano, dottore in belle lettere e attualmente rettore della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino. Deporrò solo quanto so per pura mia scienza, come testimone oculare e auricolare.
Ho conosciuto Don Bosco ai primi di novembre del 1860 (Francesco Dalmazzo aveva 15 anni, Don Bosco 45), e sono vissuto con lui fino alla sua morte.
Da pochi giorni ero entrato all’Oratorio e facevo il corso di rettorica. Non potendo adattarmi al vitto troppo modesto e alle abitudini dell’istituto, intendevo allontanarmi. Un bel mattino andai da Don Bosco a confessarmi in mezzo a una accolta di giovani che lo circondava da ogni parte.
Fu appunto mentre io stavo per confessarmi, che venne un giovane inserviente ad avvertire Don Bosco che non si poteva dare ai giovani la colazione, perché non vi era più pane. Noto che in questo frattempo i giovani assistevano alla santa Messa, dopo la quale a ciascuno veniva distribuita una pagnottella. Don Bosco rispose: ‑ Andate a prenderne in panetteria dal signor Magra (era il nome del panettiere della casa).
Soggiunse l’altro: ‑ Non ne ha più portato, né vuole portarne, perché non l’hanno pagato, e sento che il debito è di ben diecimila lire (un centinaio di milioni di oggi’). Allora Don Bosco aggiunse: ‑ Andate a cercare nella dispensa tutto quello che vi è, e raccogliete anche quello che può essere sparso nei refettori. L’altro se ne andò, e io continuai a confessarmi, non dandomi grande pensiero che potesse mancarmi la colazione, perché dopo pochi istanti intendevo partire (per casa mia).
Avevo appena finito di confessarmi, quando ritornò il medesimo individuo, e la Messa era alla fine, a dire nuovamente a Don Bosco:
‑ Ho raccolto tutto, e sono poche le pagnottelle, non sufficienti al bisogno.
Sollecitava Don Bosco, che quietamente continuava a confessare, perché volesse dare ordini in proposito. Don Bosco fece cenno che non s’inquietasse, che a momenti sarebbe venuto egli stesso. Difatti, confessato il giovane che gli stava dappresso, si alza e si avvia alla porticina della sacrestia, dalla quale i giovani uscivano, e alla cui porta si distribuiva il pane.
Memore io allora di altri fatti miracolosi uditi sul conto di lui, e preso dalla curiosità, lo precedetti per andarmi a collocare a luogo conveniente da poter bene vedere e considerare ogni cosa a mio agio. Uscendo incontrai la madre mia sulla porta, la quale invitata con lettera era venuta a prendermi per ricondurmi a casa per i motivi suesposti. Le feci cenno di ritirarsi un momento, che io volevo vedere qualche cosa; e ritiratasi mi collocai proprio dietro Don Bosco in luogo più eminente, che già si era accinto a distribuire le pagnottelle ai giovani.
Guardai tosto il cesto e vidi che conteneva al più una quindicina o una ventina di pagnottelle. Don Bosco intanto distribuisce il pane ai giovani contenti di riceverlo da lui, gli baciano la mano, mentre a ciascuno dice una parolina e dispensa un sorriso. Ricevono tutti trecento il pane, e quando la distribuzione è finita, io considero di nuovo la cesta del pane, e con mia grande ammirazione vedo la stessa quantità che era stata arrecata prima, senza che fosse stato recato altro pane o mutato il cesto.
Corro allora difilato da mia madre, e senza dire altro le partecipo che io non voglio più andare via, e mi perdoni d’averle recato questo disturbo, di essersi recata fino a Torino. Le racconto allora quello che ho veduto con gli occhi miei, dicendole essere impossibile che io lasci una casa benedetta da Dio, e un santo uomo come Don Bosco. E questa è la sola ragione che m’indusse a restare nell’Oratorio di Don Bosco e in seguito ad aggregarmi tra i suoi figliuoli.
A cura della Redazione Papaboys
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