Categorie: Italiae et Ecclesia

Quando i sogni di don Bosco diventarono realtà


Alla scoperta di Valdocco la “cittadella” dove è iniziata la grande avventura dei salesiani.

Valdocco è una sorta di “città nella città”. Il suo nome attinge al vernacolo piemontese: “Valdòc” significava probabilmente “valle delle oche”, con riferimento ad un’area campestre nei pressi di quella che, alla metà del XIX secolo, era la periferia Nord di Torino. Un luogo selvaggio, popolato da immigrati, ragazzi di strada e delinquenti.

Spinto dai suoi sogni tra il mistico e il profetico, San Giovanni Bosco volle creare un luogo di redenzione per quei giovani disperati e trasformò Valdocco in un vero gioiello, stabilendovi la sede della casa generalizia salesiana, attorno alla quale sono sorti l’oratorio, le scuole, il centro di formazione professionale, la tipografia e la chiesa parrocchiale di Santa Maria Ausiliatrice, che tuttora custodisce le spoglie mortali e altre reliquie di don Bosco.

In queste settimane a Valdocco c’è aria di festa: al Bicentenario della nascita del fondatore, segnato da decine di eventi e celebrazioni speciali, si aggiunge l’imminente visita di Papa Francesco. Tutto è ormai pronto: nel cortile centrale della ‘cittadella salesiana’, accanto all’immagine di don Bosco campeggia quella del Pontefice, che varcherà la soglia di Valdocco domenica 21 giugno alle ore 15.

Questa lunga attesa è segnata da un notevole afflusso di pellegrini: sacerdoti, coadiutori, allievi ed ex allievi salesiani ma anche fedeli comuni desiderosi di conoscere da vicino l’opera di uno dei più grandi santi italiani.

[box]1. Il primo cortile di Valdocco

La statua del Santo torinese domina il piazzale che costeggia la basilica e che conduce a San Francesco, alla cappella Pinardi e alle camerette.

2. La cappella Pinardi

La vecchia tettoia presa in affitto dal signor Pinardi che ben presto diventa il luogo di preghiera per l’Oratorio di don Bosco.

3. Chiesetta San Francesco di Sales

È la chiesetta che racchiude in sé tanta spiritualità dell’Oratorio salesiano. Qui don Bosco trovò il giovanissimo Domenico Savio in estasi.

4. Le camerette

L’Oratorio non era solo un gruppo di giovani, ma una vera e propria protocomunità: le camerette sono testimoni di questa prima esperienza.

5. La basilica di Maria Ausiliatrice

È la chiesa che don Bosco vide in sogno e che desiderò ardentemente far costruire in onore dell’Ausiliatrice: il sogno diventa solida e maestosa realtà proprio in onore di Maria, aiuto dei cristiani!
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Una celebrazione resa possibile dalla generosità di un gran numero di volontari in t-shirt gialla – sia sacerdoti che laici – impegnati in particolare come guide, in un luogo che ha fatto la storia della Chiesa.

Tra questi incontriamo una giovane mamma, il cui figlio più piccolo frequenta la scuola materna di Valdocco. “Avrei voluto fare una donazione per i salesiani ma il mio basso stipendio non me lo permette – racconta la signora a ZENIT -. Allora per esprimere la mia eterna gratitudine mi sono offerta come volontaria per il Bicentenario”.

In maglietta gialla troviamo anche don Enrico Lupano, incaricato per le celebrazioni del Bicentenario. Al termine di una visita guidata nell’ex casa generalizia salesiana, don Enrico ha raccontato a ZENIT la splendida realtà di Valdocco, riflettendo anche sull’attualità di don Bosco.

Don Enrico, che cosa rappresenta Valdocco per voi salesiani?

Valdocco è il luogo in cui i sogni diventano realtà. A partire dai sogni di don Bosco, dove i lupi si trasformavano in agnelli e tanti ragazzi cresciuti situazioni di emarginazione e disagio diventavano onesti cittadini e buoni cristiani. Il sogno di Valdocco ha un aspetto storico legato alla prima casa di don Bosco e un aspetto educativo che si articola nelle scuole, nella parrocchia, nell’oratorio, nel centro di formazione professionale dove insegniamo un lavoro ai ragazzi. Il sogno di don Bosco, comunque, non si è limitato solo a Torino ma si è diffuso in tutto il mondo, arrivando in 132 paesi.

Che legame intrecciò don Bosco con Torino, la sua città d’adozione?

È un legame molto profondo e lui vive in un’epoca in cui questa città ha dato i natali ad almeno altri venti santi. Una città in cui sono nate strutture che oggi diamo per scontate come gli asili: fu la marchesa Barolo ad idearli, quando, agli albori della rivoluzione industriale, si rese conto che nelle fabbriche i bambini non si potevano portare. La stessa Barolo fondò anche i primi ospedali pediatrici.

Quando don Bosco arriva a Torino, trova una città con delle lacerazioni profonde: c’è la rivoluzione industriale con il relativo cambiamento socio-economico ma c’è anche la rivoluzione vera e propria perché si sta formando l’Italia.  In questa temperie don Bosco, con l’aiuto della sua guida spirituale, San Giuseppe Cafasso, fu uno dei primi sacerdoti a visitare i carcerati. Fino a qualche anno prima il carcere era solo un luogo di pena, ora si intuisce che può diventare un luogo di rieducazione. Visitando le carceri, don Bosco comprende il dramma dei giovani immigrati che non avevano nessuno che si prendesse cura di loro e spesso, proprio per questo, finivano dietro le sbarre. È proprio dall’apostolato in carcere che nasce il sistema preventivo salesiano: educare i giovani, per evitare che prendano una cattiva strada. È una lotta tra il bene e il male, in cui don Bosco vuole strappare al male la vita di tanti giovani.

Don Bosco vive tutte la ricchezza e le contraddizioni di Torino. Fu sempre un uomo libero e ciò fu una delle cause degli scontri che ebbe col suo vescovo, il quale pensò il progetto di don Bosco come solamente locale, quando don Bosco aveva a cuore il mondo, tanto è vero che, pochi anni dopo, iniziarono le sue missioni internazionali.

Come vive don Bosco gli anni del Risorgimento, caratterizzati da un rapporto Stato-Chiesa molto conflittuale?

Mi piace pensare a don Bosco come una sorta di ponte tra lo Stato e la Chiesa. Non fece mai il tifo per l’uno o per l’altra ma fu sempre un uomo di riconciliazione. È interessante come don Bosco ponga come obiettivo quello di educare “buoni cristiani e onesti cittadini”. Il suo sistema preventivo non è mai disincarnato dalla realtà. Non vuole solo dei santi che vogliono bene al Signore, vuole anche dei cittadini che vivano quest’esperienza fino in fondo. Un aspetto curioso della sua storia è che, quando i Savoia pensarono di sciogliere vari ordini religiosi per incamerarne i beni, lui ne trasse l’opportunità per fondarne uno completamente nuovo. Gli venne chiesto di fare un istituto religioso i cui componenti di fronte allo stato fossero laici. Poiché lo Stato non poteva impedire a 4, 5 o 20 laici di vivere insieme, in questo modo nascono i salesiani.

Don Bosco fu sempre molto concreto, non faceva mai filosofia o astrazione ma aveva a cuore la risoluzione dei problemi. È stato infatti uno dei primi a chiedere la stipula di contratti di lavoro e di apprendistato per i giovani, per assicurare che nessuno fosse sfruttato.

Don Bosco dovette spesso fare i conti con la mancanza di denaro, eppure realizzò opere immense: un esempio per noi che viviamo anni di crisi economica?

Don Bosco era un santo, quindi la sua prima risorsa era Dio. Costruì un “impero educativo” dal nulla, perché era volontà del Signore, quindi se il Signore voleva una cosa da lui, gli dava gli strumenti per farlo. Al tempo stesso aveva un’intraprendenza incredibile. Don Bosco non ha mai avuto un atteggiamento passivo, si è sempre arrangiato e ha chiesto sempre offerte a tutti i benefattori possibili. Per lui era una grande fatica, perché era molto orgoglioso, dover chiedere gli costava, però l’ha sempre fatto. Quindi i suoi punti di forza erano: l’assoluta fiducia in Dio, l’intraprendenza e il rimboccarsi le maniche. Questo è il modo di operare anche di noi salesiani che, di fatto, abbiamo sempre vissuto nei debiti ma… i debiti li paga il Signore! Don Bosco aveva i piedi per terra ma lo sguardo rivolto verso il cielo. La sua è quindi una santità molto concreta, tipica della sua terra. Credo che per questo periodo storico, il suo affidamento totale a Dio, il suo stile di vita sobrio, il suo lavoro sodo non per se stesso ma per il bene dei giovani, possano essere un grande esempio.

Tra pochi giorni Valdocco accoglierà papa Francesco, un gesuita che molti definiscono salesiano nello stile…

Senza esagerare, potremmo dire che papa Francesco, nel cuore, è un salesiano e incarna davvero molto bene la figura di don Bosco e il suo sogno. Oltretutto egli stesso nasce e cresce in una terra, l’Argentina, che, negli anni ’70 del XIX secolo, è stata la prima terra di missione dei salesiani. Lo accoglieremo calorosamente, però, in primo luogo in quanto Pontefice, poiché il Papa era uno dei tre amori di don Bosco assieme a Maria e all’Eucaristia.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Zenit

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