Nel giorno della Solennità di S. Chiara d’Assisi, continuiamo ad approfondirne la figura e la spiritualità.
Lo facciamo riportando integralmente l’omelia pronunciata dall’allora card. Joseph Ratzinger presso il Protomonastero S. Chiara di Assisi, il 21 maggio 1989, in occasione della Professione solenne di una clarissa.
Nella Leggenda di santa Chiara, attribuita da molti a frate Tommaso da Celano, l’autore racconta come la vergine abbandonò “casa, città e parenti, […] consegnò al mondo il libello del ripudio” (LegCh 8) e “dopo che ebbe preso le insegne della santa penitenza […] fu sposata a Cristo” (ib.). Seguendo gli ordini di san Francesco, aspettava una disposizione della volontà divina sul luogo definitivo della sua nuova vita.
Il consiglio di san Francesco la guidò infine alla chiesa di S. Damiano. Il biografo commenta questo fatto, dicendo che qui fissava “l’àncora del suo spirito come in un porto sicuro” (ivi 10) e non dimentica di parlare della storia precedente: “È questa la famosa chiesa per il cui restauro Francesco si affaticò con mirabile zelo e al cui sacerdote aveva offerto denaro per ripararla. È la chiesa nella quale, mentre Francesco pregava, una voce discesa dal legno della Croce suonò così: “Va’, Francesco, e ripara la mia casa, che – come vedi – va tutta in rovina’” (ib.).
Non c’è dubbio che il biografo veda nel collocamento definitivo della vita nuova di santa Chiara a S. Damiano una disposizione divina. Il luogo diventa così una interpretazione della missione di santa Chiara e delle sue figlie per tutti i secoli.
La prima risposta di san Francesco al mandato del Crocifisso: “Va’e ripara la mia Chiesa!”, furono le pietre e il denaro. Ma la Chiesa del Signore è una Casa viva, costruita dallo Spirito Santo con pietre vive. La risposta, seconda e definitiva, viene dalla misericordia divina, viene dall’iniziativa personale dello Spirito Santo: la risposta è questa giovane donna, che desiderava “fare del suo corpo un tempio per Dio solo” (ivi 6).
La Casa di Dio viene costruita dalla carità senza riserve, da una vita penetrata dal Vangelo. Certo, il Primo Ordine, il cui scopo essenziale fu ed è una evangelizzazione non solo con parole, ma con una vita realmente evangelica, era il grande “sì” di san Francesco alla domanda che veniva e viene dalla Croce: “Va’e ripara la Chiesa, che va tutta in rovina”. Però, senza il segno della vita di santa Chiara, mancava qualcosa di essenziale.
Si potrebbe infatti pensare che la propria attività umana, il radicalismo della vita evangelica e la forza della nuova predicazione avrebbero potuto, da sole, riparare la Chiesa: non è così. Non è senza un significato profondo che santa Chiara viene chiamata a S. Damiano: la fiamma del Vangelo è nutrita dalla fiamma della carità; la carità silenziosa, umile, paziente, priva di splendore esterno e di successi esterni; la carità che non intende fare qualcosa da sé, ma lascia fare l’Altro, il Signore; la carità che si apre senza paura e senza riserve al suo operare è la condizione di ogni evangelizzazione.
Questa carità è il punto dove si compenetrano lo spirito umano e lo Spirito divino, che è carità. Alla Chiesa del secolo di san Francesco non mancava il potere, non mancava il denaro, non mancavano gli scritti e le parole buone, non mancavano le opere: mancava quel radicalismo evangelico, che dà al mondo il libello del ripudio per vivere solo per lo Sposo Gesù. E perciò, nonostante il denaro, le pietre, le parole, la Chiesa andava “tutta in rovina”.
Santa Chiara a S. Damiano, dove la sofferenza del Signore con la sua Chiesa diventa parola, è un segno per noi tutti. Il Signore soffre anche oggi nella sua Chiesa e dalla sua Chiesa: “come vedi, va tutto in rovina!”, – come vediamo – e anche la nostra risposta, come la prima di san Francesco, sono soprattutto pietre, denaro, parole.
La vita di santa Chiara non è “privatizzazione” del Cristianesimo, non è ritirarsi in un individualismo o in un quietismo religioso. La vita di santa Chiara apre le sorgenti di ogni rinnovamento vero. Vivere la Parola fino in fondo, senza riserve e senza commenti, è l’atto nel quale si apre la porta dell’uomo a Dio, l’atto dove fede diventa carità, dove la Parola, il Signore si rende presente tra noi.
Dobbiamo essere sinceri: la vita evangelica non può essere, in questo mondo, un “permanere fortissimo” dell’amore. Infatti le interrogazioni, che precedono la professione, parlano di solitudine e di silenzio, di preghiera assidua, di generosa penitenza, di buone opere e dell’umile fatica quotidiana. La vita evangelica, in questo mondo, sta sempre sotto il segno del mistero pasquale, è continuo passaggio dall’egoismo all’amore, è un tendere “alla carità”, come dicono le domande; è perciò anche tentazione ed esperienza del nostro proprio vuoto. Tutte le tentazioni della Chiesa entrano nella vita monastica, devono entrare. E possono essere superate nella Chiesa solo se vengono in modo esemplare sofferte e superate nella pazienza e nell’umiltà delle anime elette, la cui vita diventa un laboratorio della nostra liberazione.
La prima lettura della festa di oggi, SS. Trinità, parla della sapienza di Dio come architetto dell’universo. La sapienza vera si comunica nel Vangelo: la vita evangelica è la vita sapiente. Vivere il Vangelo non è una specialità accanto ad altre: l’architettura del mondo, non solo della Chiesa, dipende da tale saggezza.
La festa della SS. Trinità ci dà il giusto quadro per la professione religiosa: si tratta di ritrovare il disegno originario della vita umana, della Chiesa, del mondo; si tratta della chiave per penetrare nella sapienza creatrice del mondo, si tratta dello sposalizio di Dio e dell’uomo, del nostro entrare nel ritmo dell’Amore trinitario.
Possiamo concretizzare tutto questo ancora meglio se ritorniamo alla Leggenda di santa Chiara. L’autore spiega ulteriormente il significato del luogo e la connessione profonda tra il luogo e la vocazione di santa Chiara con una sottile combinazione di tre testi della Scrittura, scrivendo così: “Ponendo il suo nido, quale argentea colomba, nella cavità di questa rupe, generò una schiera di vergini di Cristo” (ivi 10).
La Santa appare come colomba, S. Damiano come nido nella cavità della rupe. Dietro sta soprattutto il Cantico dei Cantici, dove lo Sposo dice alla sposa: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce” (Ct 2,14).
Lo Sposo nel suo amore chiama la sposa “colomba”: è una espressione di tenerezza e di desiderio. La Chiesa sente, sulle orme del popolo ebreo, in queste parole appassionate la voce dell’Amore divino, la voce del Creatore e del Redentore. L’umanità redenta, la Chiesa è questa “colomba”, questa sposa amata e cercata dall’Amore divino, cercata nei nostri nascondigli, cercata nei dirupi del mondo.
La schiera delle vergini di santa Chiara è una realizzazione profonda della vera essenza della Chiesa qui indicata: la loro vita è un diventare colomba nelle mani del Signore, è l’atto dello svegliarsi per la voce dell’Amore che mi cerca: “Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce”.
Tutta la vita monastica secondo la vocazione di santa Chiara è descritta in queste parole. L’uomo incurvato in se stesso, nel peccato, nel desiderio della auto-realizzazione, comincia a rialzarsi e volge il suo viso verso gli occhi del Signore. Vivere da monaca vuol dire vivere con lo sguardo fisso a Gesù e fargli sentire la propria voce, che si unisce con la Sua voce nella meditazione della Parola divina e nella preghiera della Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo.
Il Cantico dei Cantici, al cui testo accenna la Leggenda, parla dei nascondigli della colomba nei dirupi. Nella tradizione mistica questa parola ha un duplice significato: cominciando dal primo peccato l’uomo cerca il suo nascondiglio nella sua fuga dalla Presenza divina, e il Redentore incarnato ci cerca nei nostri diversi nascondigli.
Ma c’è anche l’altro significato, inverso: S. Damiano, la “cavità della rupe” diventa il nascondiglio beato, dove santa Chiara e le sue vergini si nascondono e vivono solo per Dio. Un tale nascondiglio, lontano dalla curiosità del mondo, dalle lodi e dai timori mondani, è importante proprio oggi. L’opinione pubblica, manipolata dai mass-media, diventa sempre più il potere dei poteri, il vero governo del mondo: e anche per la Chiesa la tentazione di sottomettersi a questa tirannia è grave. L’opinione dominante diventa più forte della verità e proprio per questo la Chiesa è minacciata di andare in rovina. Tanto più si mostra importante, dunque, questo beato nascondiglio, sottratto agli occhi del mondo, aperto solo agli occhi del Signore.
In questo senso parla il secondo testo biblico implicato nella frase citata dalla Leggenda, cioè Geremia 48,28, dove il profeta dice: “Abbandonate le città e abitate nelle rupi, […] siate come la colomba che fa il nido nelle pareti d’una gola profonda”.
Uscire dalla vanagloria del proprio mondo, piccolo o grande; vivere non per le notizie, ma volti verso gli occhi del Signore: questo imperativo profetico ci tocca tutti e si realizza in modo esemplare nel nascondiglio della comunità di santa Chiara.
Infine, troviamo in questo testo così ricco della Leggenda anche un terzo elemento: parlando della colomba argentea, l’autore fa cenno al Salmo 67(68),14: “Mentre voi dormite tra gli ovili, splendono d’argento le ali della colomba”.
Si può essere abbastanza sicuri che la Leggenda legge e interpreta questo testo misterioso con sant’Agostino. Per il grande Dottore della Chiesa l’argento esprime lo splendore che la colomba riceve dalla Parola divina, ed esprime anche la purezza che viene dalla penitenza e dalla parola del perdono donatoci dal Sacramento. Nella familiarità con la Parola di Dio e nella Comunione sacramentale crescono le ali che fanno volare la nostra anima superando la gravità terrena. L’anima diventa colomba, vola verso l’alto, verso Gesù.
Tutto questo, lungi dall’essere un misticismo romantico o poco reale, offre delle indicazioni molto concrete per la vita religiosa. Amare di essere semplici; non dare importanza alle opinioni umane; sottomettersi al giudizio degli occhi del Signore e imparare da Gesù la castità, l’obbedienza, la povertà; meditare le Parole divine insieme con la grande Tradizione della Chiesa, unirsi nella penitenza con il Signore sofferente, vivere non per se stessi, ma in unione con il Signore per il Suo Corpo sofferente, per la pecora smarrita, l’umanità; far sentire la nostra voce allo Sposo nell’adorazione e così imparare a volare: questo è il modo per riparare la Casa del Signore. Questo è il cammino per la vera riforma della Chiesa.
Fare la professione è porre il proprio nido nella cavità di questa rupe, unendosi alla schiera di vergini di Cristo fondata da santa Chiara, per diventare “argentea colomba”, in e con questa schiera; per diventare “anima ecclesiale”, sposa di Cristo. È rispondere con generosità e coraggio alla voce discesa dal legno della Croce: “Va’… e ripara la mia Casa!”.
Grazie per questo coraggio: preghiamo tutti che Dio benedica ogni giorno il cammino della schiera di santa Chiara! Amen.
Fonte: Forma Sororum XXVI (1989), 234-239 – sanfrancescopatronoditalia.it