San Ioannes Paulus PP. II

Quando venne ordinato sacerdote un certo… Don Karol! Era il 1° novembre del 1946

Dio «ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia» (2 Tm 1, 9). Contemporaneamente ci rendiamo conto che le parole umane non sono in grado di reggere il peso del mistero che il sacerdozio porta in sé. Queste sono parole di Giovanni Paolo II nel 50° di ordinazione sacerdotale contenute nello scritto del Pontefice intitolato ‘DONO E MISTERO’.

Il futuro Papa fu ordinato sacerdote il 1° novembre del 1946. Ma proprio dalle sue parole (scritte) capiamo di più sulla vocazione ricevuta e sulla sua vita … da prete!

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La storia della mia vocazione sacerdotale?

La conosce soprattutto Dio. Nel suo strato più profondo, ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero

, è un dono che supera infinitamente l’uomo. Ognuno di noi sacerdoti lo sperimenta chiaramente in tutta la sua vita. Di fronte alla grandezza di questo dono sentiamo quanto siamo ad esso inadeguati.

La vocazione è il mistero dell’elezione divina: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). «E nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne» (Eb 5, 4). «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1, 5). Queste parole ispirate non possono non scuotere con un profondo tremore ogni anima sacerdotale.

Per questo, quando nelle più diverse circostanze — per esempio, in occasione dei Giubilei sacerdotali — parliamo del sacerdozio e ne diamo testimonianza, dobbiamo farlo con grande umiltà, consapevoli che Dio «ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia» (2 Tm 

1, 9). Contemporaneamente ci rendiamo conto che le parole umane non sono in grado di reggere il peso del mistero che il sacerdozio porta in sé.

Questa premessa mi è sembrata indispensabile, perché si possa comprendere in modo giusto quello che dirò del mio cammino verso il sacerdozio.

I primi segni della vocazione

L’Arcivescovo Metropolita di Cracovia, Principe Adam Stefan Sapieha, visitò la parrocchia di Wadowice quando ero studente di ginnasio. Il mio insegnante di religione, P. Edward Zacher, mi affidò il compito di porgergli il benvenuto. Ebbi allora per la prima volta l’occasione di trovarmi di fronte a quell’uomo molto venerato da tutti. So che, dopo il mio discorso, l’Arcivescovo domandò all’insegnante di religione quale facoltà avrei scelto dopo la maturità. P. Zacher rispose: «Studierà Filologia polacca». Il Presule avrebbe risposto: «Peccato che non sia la teologia».

 

In quel periodo della mia vita la vocazione sacerdotale non era ancora matura, anche se intorno a me non pochi erano del parere che dovessi entrare in seminario. E forse qualcuno avrà supposto che, se un giovane con così chiare inclinazioni religiose non entrava in seminario, era segno che in gioco v’erano altri amori o predilezioni. Di fatto, a scuola avevo molte colleghe e, impegnato com’ero nel circolo teatrale scolastico, avevo svariate possibilità di incontri con ragazzi e ragazze. Il problema tuttavia non era questo. In quel periodo ero preso soprattutto dalla passione per la letteratura, in particolare per quella drammatica, e per il teatro. A quest’ultimo m’aveva iniziato Mieczyslaw Kotlarczyk, insegnante di lingua polacca, più avanti di me negli anni. Egli era un vero pioniere del teatro dilettantistico e coltivava grandi ambizioni di un repertorio impegnato.

di Karol Wojtyla (tratto da: ‘Dono e mistero)

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