L’etimologia della parola giudicare è da ricondurre al latino judĭcare, derivazione di judex = giudice. Ed è una vera responsabilità!
Judex deriva dall’unione di ius + decs (dicere) cioè colui che dice, che si pronuncia sul diritto. Nel senso più ampio, giudicare significa valutare, stimare, esprimere un’opinione pesata. Oggi, anche la semplice definizione di giudizio è molto controversa e, a ben vedere, particolarmente sfumata.
Giudicare gli altri, ed in senso più ampio ‘giudicare’ dipende molto dal settore nel quale il termine viene utilizzato ma, in ogni caso, esistono grandi difficoltà a far comprendere “il senso di responsabilità” che è alla base dell’attività giudicante; molti di noi non sono pienamente consapevoli che il giudizio può essere un’arma (potente!) di distruzione. Le conseguenze più immediate sono di ordine estremamente pratico: il giudizio è utilizzato con grande leggerezza e semplicità. I nostri pensieri e le nostre parole sono, sempre più spesso, delle relazioni centrate sulle attività giudicanti.
Eppure la nostra vita è costruita anche attorno al giudizio, nostro e altrui: la scuola, il lavoro, la famiglia, le amicizie, la dimensione sociale … tutto può essere caratterizzato dal giudizio e da parole (oltre che atteggiamenti) giudicanti.
L’importanza dell’empatia e della comprensione
L’empatia e la comprensione sono due elementi fondamentali per costruire relazioni sane e positive con gli altri. L’empatia ci permette di metterci nei panni degli altri, di comprendere i loro pensieri e le loro emozioni, e di rispondere in modo più compassionevole e adeguato. La comprensione, d’altra parte, ci permette di cogliere la complessità delle situazioni e delle persone, di guardare oltre le apparenze e di apprezzare la diversità.
Senza empatia e comprensione, corriamo il rischio di giudicare gli altri in modo superficiale e distorto, basandoci sulle apparenze o sui pregiudizi. Questo può portare a relazioni conflittuali, a una mancanza di collaborazione e a una società più divisa.
Invece, quando sviluppiamo empatia e comprensione, possiamo costruire relazioni più profonde e significative con gli altri, basate sulla comprensione reciproca e sulla collaborazione. In questo modo, possiamo creare una società più unita e solidale, dove le differenze sono viste come opportunità di crescita e di arricchimento reciproco.
In definitiva, l’empatia e la comprensione sono essenziali per una società più giusta e inclusiva, e per costruire relazioni sane e positive con gli altri. È importante che cerchiamo di sviluppare queste qualità in noi stessi e di incoraggiare gli altri a farlo, per creare un mondo più solidale e compassionevole.
Che dice il Vangelo? Lc 6,27-38: “Non giudicate e non sarete giudicati
L’amore al prossimo è il secondo Comandamento più importante nella preghiera dello Shemà (formula ebraica che racchiude tutta la Legge – i 10 Comandamenti), infatti, in un altro brano evangelico, quando un dottore della Legge chiese a Gesù quale fosse il Comandamento più grande, Egli rispose:
“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 38-40).
Quindi Gesù associa il secondo al primo, ritenendo che i due sono simili, ma non uguali.
Ciò ci fa comprendere che “amare Dio” e il “prossimo”, rientrano nell’ottica di Dio, perché se Lo amiamo, mettendoLo al primo posto, è automatico che amiamo anche il prossimo, se invece non amiamo Dio, è una menzogna dire che amiamo il nostro prossimo: l’amore non è un atto di volontà, ma un DONO DI DIO.
Di questo ce lo conferma anche l’apostolo Giovanni, quando dice:
“Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,19-21).
Infatti, “amare quelli che ci amano” non è così difficile, anche gli atei lo fanno, ma cosa è che ci differenzia allora?
La Parola ci risponde sapientemente: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 43-48).