Categorie: Finis Mundi

Quasi 50 milioni gli schiavi moderni; il 60% sono in Asia

Cinque Paesi asiatici hanno percentuali più alte di schiavi: Nordcorea, Uzbekistan, Cambogia, India e Qatar. Il maggior numero di schiavi in senso assoluto è tenuto da India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. Anche il prestito a usura è causa di schiavitù. Ad alimentare lo schiavismo vi sono il business, con la ricerca di lavoro a basso costo; la criminalità organizzata, che sfrutta il traffico di esseri umani; lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Occorrono leggi, dichiarazione della catena di produzione, ma anche un cambiamento di mentalità per ridurre la frenesia consumista.

Nel mondo vi sono almeno 45,8 milioni di moderni schiavi; i due terzi di questi uomini, donne e bambini sono nell’area Asia-Pacifico. Il continente asiatico ha il maggior numero di schiavi: 26,6 milioni, pari al 58% del totale.  È quanto appare dal Global Slavery Index 2016 pubblicato oggi dalla Walk Free Foundation, un’organizzazione caritativa fondata dal magnate australiano Andrew Forrest e da sua moglie Nicole.

Il primato della Nordcorea

Il documento è unico nel suo genere e pubblica stime – verificate con inchieste sociologiche – sul numero di persone rese schiave, sulle cause della loro situazione e sul modo in cui i governi rispondono a tali problemi. Grazie a una maggiore precisione degli studi e delle stime, quest’anno si è precisato di più il numero degli schiavi nel mondo, che sono il 28% in più rispetto al 2014.

In una lista di 167 Paesi, i primi posti – per numero di schiavi in proporzione agli abitanti – sono occupati da cinque nazioni asiatiche: la Nordcorea, l’Uzbekistan, la Cambogia, l’India e il Qatar. In Corea del Nord, è sempre più evidente tutta la rete di lavori forzati che fanno parte del sistema produttivo del Paese. Allo stesso tempo, migliaia di donne nordcoreane vengono vendute come mogli o per sfruttamento sessuale in Cina e altri Paesi vicini. Almeno il 4,37% dei nordcoreani sono resi schiavi, lasciando a Pyongyang questo amaro primato. In Uzbekistan il governo continua ogni anno i suoi cittadini a i lavori forzati per raccogliere il cotone.

In Qatar, con circa 2,3 milioni di abitanti, vi sono almeno 30mila schiavi (l’1,36% della popolazione. La forma dominante di schiavitù è quella nel settore delle costruzioni, soprattutto riguardo all’edificazione delle infrastrutture legate ai Campionati mondiali di calcio del 2022. La massa di schiavi-migranti, maschi al 99,4%, proviene da India, Nepal, Filippine, Sri Lanka e Bangladesh.

I primati di India e Cina

In termini assoluti, il primato per il maggior numero di schiavi è mantenuto da India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. L’India è al vertice con circa 18,35 milioni di persone schiave, seguito da Cina con 3,39 milioni; il Pakistan 2,13 milioni; il Bangladesh con 1,53 milioni e l’Uzbekistan con 1,23 milioni. Va detto che molti di questi Paesi usano la schiavitù nel sistema di lavoro a basso costo che produce beni di consumo per i mercati dell’Europa, del Giappone, del Nord America e dell’Australia.

Un fatto interessante è che per il Gobal Slavery Index, Hong Kong è peggio della Cina. Secondo l’Indice, infatti, Il territorio offre poca protezione alle persone vulnerabili alla schiavitù (bambini, donne, migranti, …) e vi è addirittura il sospetto che “vi siano politiche governative e pratiche che facilitano la schiavitù”.

In Cina, invece, pur essendovi un numero enorme di schiavi, la situazione è positiva per le azioni varate dal governo per combattere il problema.

Va detto che fra le cause delle schiavitù moderne vi è anche il prestito ad usura.

Secondo gli studiosi del settore, ci sono tre ragioni che alimentano la schiavitù: il business, alla ricerca di abbassamento dei costi; il crimine organizzato che traffica gli schiavi; lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Per Andrew Forrest, questi tre elementi si combattono con leggi che proibiscano la schiavitù, ma anche chiedendo ai businessmen di mettere in chiaro i luoghi e i modi di produzione dei prodotti che essi vendono. C’è infine un altro importante impegno, che è responsabilità di tutti: fare a meno di una visione consumista, che ricerca prodotti su prodotti al prezzo più basso.


Redazione Papaboys (Fonte www.asianews.it)

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