Giovanni colloca la salita di Gesù al Tempio di Gerusalemme, subito dopo le nozze di Cana. È da presumere quindi che l’ira del Signore di fronte a coloro che facevano della casa del Padre suo “una spelonca di ladri” avvenga agli inizi della vita pubblica.
Il tempio, che i giudei avevano impiegato quarantasei anni a ricostruire, che era stato distrutto, saccheggiato, vilipeso, così tante volte dai pagani, era il luogo sacro per eccellenza perché era considerata la dimora del Dio del cielo. Gesù chiama questa dimora “la casa del Padre mio” ma, aggiungendo che “in tre giorni l’avrebbe fatta risorgere” (Gv 2, 20), afferma chiaramente di essere Lui, con il suo corpo, con la sua vita, la casa del Padre.
Il Signore non si indigna perché al Tempio si compra e si vende: erano tutte cose previste per l’offerta dei sacrifici che servivano per il culto. Si arrabbia perché in quella che è una casa, si fa distinzione tra il povero e il ricco come se non fossimo tutti figli dell’unico Padre che fa piovere e manda il sole sopra i buoni e i cattivi (cfr Mt 5,45). Così facendo si ruba la dignità dell’essere figli e quindi, cosa ancor più grave, si lede la dignità del Padre. Le relazioni dentro una casa sono profondamente diversi da quelle del “mercato” (Gv 2,16).
In un mercato i rapporti sono basati su prestazione e controprestazione, ma così non è in una famiglia, in una casa, dove ciascuno è amato per quello che è, non per quanto vale, produce, o merita. Con la vita pubblica di Gesù, arriva il momento in cui la casa del Padre sarà il corpo di Cristo – ovvero la Chiesa – e solo chi Lo seguirà potrà comprenderlo. Il Signore sa che anch’essa – la nuova casa che è Lui – verrà defraudata della vita ma la morte non avrà l’ultima parola perché quel corpo è una casa vera. E risorgerà e sarà più splendente di prima, perché sarà per sempre la vera casa dei figli, sarà il luogo dove nessuno potrà più venire a rubare la vera dignità del Padre e dei figli. Sarà così perché un ladro non può più essere tale se quanto vorrebbe rubare a lui viene donato: non dimentichiamo che il primo santo “canonizzato” sarà “il buon ladrone”: “oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43).
E il corpo di Cristo è proprio così, è un corpo donato: “nessuno me la toglie: io la do da me stesso” ( cfr. Gv 10,18). In quella casa, finalmente staremo bene, perché è una casa che ha le porte aperte, quelle del cuore del Padre. È la casa dove non si pagano più dazi per entrare: ricordiamo l’episodio in cui Gesù “per evitare di scandalizzarli” dice a Pietro di pagare la tassa del Tempio che non avrebbero dovuto pagare perché “i figli sono liberi” (Mt 17,26). Sì, lì non verremo fatti prigionieri di assurde e subdole forme di potere ma saremo figli liberi. Tutto questo è il tempio di Gesù, il suo corpo che sempre possiamo amare.
Di Don Mauro Leonardi
Il testo che hai pubblicato rispecchia pienamente i giorni attualiGRAZIGGRAZIE
Grazie!