Quella moratoria culturale che in Italia causa troppi morti sulla strada

Una donna di 28 anni è morta investita in via Libertà a Palermo. Chi l’ha uccisa, Pietro Sclafani, guidava a folle velocità e avrebbe assunto sostanze stupefacenti prima di mettersi alla guida. A Celano, in Abruzzo, è stato arrestato il conducente dell’auto pirata che ha travolto e ucciso un ragazzo di 15 anni e ferito il suo amico che erano in sella a un motorino. Sono gli ultimi morti e gli ultimi arresti per incidenti stradali. Sono gli ultimi di una lunga serie ma forse, già ora mentre scrivo, non saranno più gli ultimi, perché sulle nostre strade si muore troppo.

Vale la pena guardare bene questi incidenti e notare che hanno molte somiglianze con le scene dei delitti. Ci sono i segni per terra con il gesso, il cadavere, la persona responsabile che scappa, la polizia che insegue, le ambulanze, le indagini. Non sono somiglianze, sono uguaglianze. Solo che per raccontarcele usiamo parole diverse, diciamo “incidente” e non “assassinio”, e allora ci cambia la visione, ci cambia l’attenzione, ci cambia la sensazione e la comprensione di quello che vediamo.
È lì, dove origina il livello di percezione delle tragedie, che abbiamo davanti agli occhi ed è la ragione profonda per cui da noi le pene rispetto alla morte che un incidente causa sono minime, a volte risibili.

Ripetiamoci che la scena di un incidente è la scena di un omicidio. Non gli assomiglia, lo è. Per questo tecnicamente si chiama “omicidio colposo”. Il morto per strada non è vittima di un incidente, è vittima. L’incidente non è stato causato da una macchina, anche se in italiano si dice così: la macchina è l’arma con cui è stato ucciso. Ce lo dobbiamo dire che quando saliamo su una comunissima macchina andiamo in giro con una potenziale arma per uccidere. Io uso una Punto. Quando salgo su una Punto salgo su una “cosa” di acciaio e materiali vari che ha un peso oscillante tra i 900 e i 1400.

Se ci aggiungo la potenza che gli dà il movimento, devo sapere che, quando esco dal parcheggio, vado in giro armato. Mi chiedo: entrerei un po’ alticcio, drogato, fuori di me per l’ira, così stanco da potermi addormentare per un colpo di sonno, in un luogo affollato, armato di una pistola che ha il colpo in canna? No? E allora perché avviene, spesso, troppo spesso, che invece saliamo in macchina in quelle condizioni e usciamo dal parcheggio? Avete mai parlato con un ragazzo che ha bevuto troppo ed è tornato guidando? Tra le mille cose che gli urlerete arrabbiati mentre vomita, quella che lo stupisce di più è il pericolo che ha corso lui stesso e ha fatto correre agli altri guidando in quelle condizioni.

Dobbiamo assolutamente azzerare quella sorta di moratoria culturale e sociale che noi italiani ancora abbiamo verso questi incidenti. E di questo io, prete, mi prendo la mia dose di responsabilità. Non si capisce perché i paesi a tradizione protestante siano così evidentemente più attenti di noi. Vorrei non sentire più commenti in cui si dice che in Usa “sono matti” perché si finisce dentro per un limite di velocità infranto. Decine di migliaia di bambini stanno facendo in questi giorni la loro prima comunione. Vorrei sapere quanti di loro si sono sentiti spiegare – doverosamente – oltre che la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, anche il peccato che è guidare in maniera imprudente. E se viene fatta una bella ripresa dell’argomento nella preparazione per la Cresima, che sarà quando molti di quei bambini avranno preso la patente. Anche questo è cristianesimo. Fino a poco tempo fa, nell’immaginario collettivo laico, la chiesa cattolica veniva quasi solo associata all’essere ostacolo per le unioni omosessuali, l’aborto, il divorzio, la fecondazione artificiale e così via.

Da un po’, grazie a tanti cristiani coraggiosi, ci si è accorti che la chiesa combatte anche la mafia e la corruzione. Però, in altri ambiti, siamo ancora molto indietro. E il codice stradale è uno di questi. Non si può parlare di incidente, cioè di qualcosa che capita, quando succede che perché sei alterato o corri troppo ammazzi qualcuno. Il discepolo di Cristo sa che si chiama assassino, seppur di omicidio colposo, chi uccide con l’arma bianca dell’auto chi andava a scuola, a lavoro, a casa. Insomma chi viveva e ora non vive più.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost

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