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Questa domenica 5 maggio il viaggio di Papa Francesco in Bulgaria e poi in Macedonia del nord. Il programma

La seconda di un Papa in Bulgaria, la prima in Macedonia del Nord: la visita imminente di Francesco prima a Sofia e poi Skopje riporta il Papa nel “Paese delle rose” 17 anni dopo il viaggio di Giovanni Paolo II, mentre è un inedito per la nazione distaccatasi dall’ex Jugoslavia nel ’91.

Ma entrambe le tappe si snodano sui passi di due Santi, Giovanni XXIII e Madre Teresa

Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Ai primi del ’91 il famigerato Checkpoint Charlie in Friedrichstrasse a Berlino è un tratto di terra sbancata, gru e mozziconi di marciapiedi. Il varco simbolo del Muro è diventato uno spazio aperto e i mattoni del posto di blocco sono oggetti da museo e souvenir da mettere sulla libreria. Adesso, dove prima c’erano mitra e filo spinato, la gente va e viene libera. Ai primi del ’91 il quotidiano “Lo Sguardo” in ul. 11 Avgust a Sofia è uno storico giornale di partito. A pubblicarlo è l’Associazione della stampa bulgara, la cui redazione alloggia in un palazzo confiscato dal regime alla Chiesa cattolica. L’edificio è lo stesso che nel ’29 mons. Angelo Giuseppe Roncalli aveva comprato per insediarvi la prima Delegazione apostolica. Adesso, a partire da quel palazzo, la Chiesa del silenzio sta per ritrovare libertà di parola.

Il ponte e il Muro

La sede della Nunziatura di Sofia – restituita al Vaticano all’indomani dei rapporti diplomatici con Sofia siglati nel dicembre del ’90 – è a buon diritto un emblema della visita di Papa Francesco in Bulgaria. Perché racconta di una stagione di dialogo oltre la ragione di Stato poi spezzata dall’ateismo di Stato. I tanti oggetti appartenuti a mons. Roncalli custoditi tuttora nel palazzo ricordano gli ottimi rapporti intrattenuti dal futuro Giovanni XXIII con lo zar Boris III e con i capi della Chiesa ortodossa, costruiti con pazienza e disponibilità nei nove anni di missione a Sofia. Un ponte solido, interrotto dal Muro ma non distrutto, sul quale aveva posato i piedi Giovanni Paolo II nel 2002 e che ora Francesco riattraversa per incontrare una Bulgaria profondamente mutata. Un Paese che, tra il fallimento finanziario del ’97, con gli stipendi a 10 dollari, e l’ingresso nell’Ue del 2007 ha visto migliorare le condizioni interne ma non al punto da arrestare l’emorragia dell’emigrazione, che nei dieci anni successivi all’adesione europea ha visto un milione di bulgari lasciare la propria terra.


Vangelo slavo

La radice invece mai estirpata, neanche in 50 anni di socialismo reale, è quella della fede cristiana, piantata dai Santi Cirillo e Metodio nell’Europa slava del primo millennio, grazie al lavoro non solo apostolico ma anche culturale – la traduzione della Bibbia in glacolitico ne è il vertice – condotto dai due fratelli missionari. Come accaduto in generale con tutto il mondo dell’ortodossia, la Chiesa cattolica ha ritrovato grazie al Concilio nuovi modi di riconsolidare i rapporti ecumenici con le Chiese dell’est. In Bulgaria Giovanni Paolo II diede un forte impulso a questo percorso nell’incontro col Patriarca Maxim e Papa Francesco ha certamente in cuore sentimenti simili in vista della visita che domenica farà al successore, il Patriarca Neofit. Un abbraccio fraterno con lo stile di Francesco, simile a quello del giovane Roncalli, che intendeva il rispetto verso i fratelli ortodossi non solo quello dovuto ai capi ma soprattutto quello dovuto alla gente (e la Bulgaria ricorda sempre il bene fatto dal giovane visitatore e poi delegato apostolico con le famiglie povere dell’epoca). Così, il giorno dopo l’incontro con Neofit, il Papa sarà al campo profughi “Vrazhdebna”, alla periferia di Sofia, dove vivono alcuni dei milioni di poveri del 21.mo secolo, i migranti.

Papa in Bulgaria: l’abbraccio con i profughi

La Santa di Skopje

Se la figura di Roncalli “Papa buono” è il filo di ordito che lega la trama dei due giorni che Francesco si appresta a trascorrere nel Paese delle rose, quella di Madre Teresa di Calcutta lo è per la successiva sosta del Papa in Macedonia del Nord – nome ufficiale del Paese dall’anno scorso, ottenuto dopo un lungo negoziato con la Grecia. Quattro volte più piccola dell’altra dal punto di vista geografico, e con 2 milioni di abitanti contro 7, la Macedonia del Nord condivide con la Bulgaria la percentuale di cattolici, l’1% in entrambi i Paesi a fronte di una comune maggioranza ortodossa. Quella nord macedone è una Chiesa cattolica multietnica, ogni differenza segno delle diverse dominazioni territoriali succedutesi nel tempo, oggi con due gruppi prevalenti, i 15 mila fedeli di rito bizantino e i 5 mila di rito latino. Ma su tutto giganteggia lei, l’Angelo dei poveri, nata nel 1910 in un sobborgo della Skopje allora ottomana.

Terra di Apostoli

In realtà, pur coagulando attorno a sé l’orgoglio di una nazione, Teresa di Calcutta non è la prima Santa conosciuta da questa terra. Una prima traccia si trova nelle pagine degli Atti degli Apostoli, quando Paolo di Tarso, impegnato nel secondo dei suoi viaggi, sogna un macedone che lo prega: “Vieni in Macedonia e aiutaci”. Secondo gli storici, l’arrivo di San Paolo nella Macedonia settentrionale avviene attorno all’anno 51 e un’antichissima Scupi, colonia romana, viene eretta arcidiocesi già nel IV secolo. Il cristianesimo in Macedonia del Nord ha quindi l’“odore” del primissimo annuncio apostolico, anche se nella coscienza collettiva, non solo ecclesiale, è quello di Madre Teresa il nome amato e nella volontà civile quello che si è scelto di celebrare con la costruzione di una Casa-memoriale.

Un nuovo volto

È qui, in questa costruzione slanciata realizzata nel 2008 e inaugurata l’anno dopo, che Francesco si fermerà a pregare la mattina del 7 maggio. La Casa sorge nel luogo della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, distrutta dal terremoto che il 26 luglio 1963 rase al suolo gran parte di Skopje facendo migliaia di morti. Una Casa della memoria dunque – come la Nunziatura di Sofia per mons. Roncalli – che quel giorno sarà anche, e non poteva essere altrimenti, una casa dei poveri, con un centinaio di assistiti dalle Suore della Carità che avranno l’occasione di abbracciare Papa Francesco. Del resto, la povertà è uno spettro per il Paese, che ancora fatica a riprendersi dalle conseguenze della guerra in Bosnia-Erzegovina di metà anni Novanta e dalla crisi economica globale del 2008. L’obiettivo adesso è l’avvio di negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea, ma intanto gli sforzi di rilanciarsi in ambito europeo anche attraverso nuova immagine saranno evidenti nei giorni della visita del Papa, quando le immagini mostreranno i primi frutti del Progetto “Skopje 2014”. Si tratta di un piano da centinaia di milioni di dollari ideato per dotare la capitale di edifici governativi, musei e monumenti che raccontino, attraverso l’arte e l’architettura, su quali fondamenta culturali riposi l’identità di questo popolo.

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