Era nato il 14 aprile 1853 a Milano dove i genitori bergamaschi Bartolomeo e Emilia Cagliaroli erano a servizio dei marchesi Stanga. Tornato a Bergamo, concluse prima gli studi liceali e poi la teologia presso il Seminario cittadino. Ordinato prete nel 1875 a Roma ha un visione: una moltitudine di donne che adorano l’Eucaristia.
Capisce che Dio ha un progetto su di lui, ma attende il momento giusto per realizzarlo. Ciò avviene a San Gervasio d’Adda, dove incontra Caterina Comensoli, giovane desiderosa di spendersi in una congregazione dedita all’adorazione dell’Eucaristia. Nel 1882 nasce il primo nucleo delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento.
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Nel 1889 a causa di malinterpretati problemi economici il sacerdote lascia la diocesi di Bergamo e, accolto dal vescovo di Cremona, monsignor Geremia Bonomelli, si trasferisce a Rivolta d’Adda, dove le sue figlie hanno aperto una casa. La fondazione si scinde: madre Comensoli fonda la congregazione delle Suore Sacramentine, don Francesco quella delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento.
Il loro carisma le guida ad adorare giorno e notte Gesù nell’Eucaristia e a servire i fratelli poveri e sofferenti, nei quali “Ravvisare il Volto di Cristo”. Spinelli muore il 6 febbraio 1913. Il 21 giugno 1992, nel santuario mariano di Caravaggio, Giovanni Paolo lo proclama beato.
Come ha detto qualcuno la storia di Sulprizio sarebbe stata adatta a un racconto di Dickens. Di origini umili e rimasto orfano da piccolo di entrambi i genitori, fu inizialmente cresciuto dalla nonna materna, a sua volta scomparsa quando il ragazzo aveva 9 anni, mentre uno zio lo avviò al mestiere di fabbro nella sua bottega di Pescosansonesco dove Nunzio era nato il 13 aprile 1817.
Proprio a causa della pesantezza del lavoro il giovane, di costituzione fragile, si ammalò di una grave patologia ossea. Per curarsi venne ricoverato in ospedale all’Aquila e poi a Napoli dove viveva uno zio militare che lo fece seguire da un colonnello medico. Le terapie però non riuscirono ad evitargli atroci sofferenze fino all’amputazione della gamba. Morì a diciannove anni il 5 maggio 1836. Malgrado i dolori terribili accettò sempre la malattia con pazienza e fede, tanto che già Leone XIII lo propose come modello per la gioventù operaia.
Il ragazzo sarà santo grazie al riconoscimento di un miracolo ottenuto per sua intercessione. «Si tratta della guarigione di un giovane pugliese di Taranto – ha spiegato, felicissimo, l’arcivescovo di Pescara-Penne, Tommaso Valentinetti l’8 giugno scorso quando il Papa ha autorizzato il decreto che riconosceva il carattere prodigioso dell’evento – coinvolto in un grave incidente stradale una decina di anni fa. Le lesioni cerebrali causate dal tragico impatto e i danni permanenti provocati dalla disgrazia, avrebbero dovuto provocare importanti riduzione motorie e invece l’intercessione del beato Nunzio, riconosciuto dal giovane nel sogno, lo ha guarito “inspiegabilmente” per la scienza e “miracolosamente” per la fede».ome detto la fama di santità di Sulprizio si diffuse rapidamente dopo la sua morte, alimentata dal racconto di chi poteva testimoniare il coraggio e la fede con cui aveva affrontato la malattia.
Riconosciuto venerabile nel 1859 da Pio IX e proclamato beato da Paolo VI nel 1963, le sue spoglie sono conservate in parte nel santuario eretto a Pescosansonesco presso la fonte di Riparossa, in parte nella chiesa di San Domenico Soriano a Napoli. La tradizione vuole che durante un terremoto che colpì l’Abruzzo la teca con le spoglie del prossimo santo si sia spostata per evitare la caduta di un grosso macigno che l’avrebbe distrutta. Nel santuario di Pescosansonesco vi è una parete piena di stampelle, appartenute a giovani invalidi. (Riccardo Maccioni)
Nato a Torre del Greco, a dieci chilometri da Napoli, il 3 giugno 1751, Vincenzo Romano è il parroco italiano che diventerà santo per avere praticato «bene il bene» nel quotidiano. Parroco per oltre trent’anni dal 1799 al 1831, anno della sua morte, presso la Basilica di Santa Croce, ha condotto l’esistenza di un normale sacerdote, ma profonde sono state le sue intuizioni pastorali. Innanzitutto la “Messa pratica”, cioè un libretto con il quale aiutava la gente a partecipare in maniera attiva alle celebrazioni in un tempo in cui la Messa veniva celebrata in latino e in cui li invitava a non assistere non da muti spettatori, ma comprendendo bene l’azione sacra.
«La proclamazione del Vangelo a tutti era la sua vera missione», spiega l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe. Una scelta che lo portò ad inventare la “sciabica”, che consisteva nell’avvicinare con crocifisso e campanello le persone, predicare e poi accompagnarle nella chiesa più vicina. «Seppe essere mite e umile di cuore – prosegue Sepe – parroco di pecore, pecora dell’unico Pastore».
Un modello per la comunità anche nella sua carità sociale, nell’organizzare e aiutare i pescatori di corallo, che a Torre del Greco erano e sono tuttora numerosi e bisognosi. E poi esempio per i tanti sacerdoti. «Da Torre del Greco al mondo per consegnare lo stile di pastore che seppe fare della carità mestiere e della compassione strumento di umana liberazione», aggiunge l’arcivescovo. Da sempre vicino agli ultimi, faticò assieme agli abitanti e agli operai per ricostruire la città andata distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 15 giugno 1794. In particolare volle proprio la ricostruzione della Basilica di Santa Croce.
Sulla sua tomba, nella Basilica di Santa Croce, si fermò in preghiera anche san Giovanni Paolo II l’11 novembre 1990.
È stata la guarigione di Raimondo Formisano, un commerciante di frutti di mare ammalatosi di tumore, il miracolo avvenuto nel 1989 che gli ha aperto le porte della canonizzazione. I 14 figli di Formisano, infatti, conoscendo la devozione del padre per Vincenzo Romano cominciarono a pregare anche otto ore di fila. E Raimondo guarì. (Rosanna Borzillo)
Una religiosa piccola di statura ma dalla grande forza spirituale. Spagnola di nascita ma pienamente latinoamericana. Sempre dalla parte dei poveri perché ricca della carità che si nutre di fede e di preghiera.
Nella vita di Nazaria di Santa Teresa di Gesù (al secolo Nazaria Ignacio March Mesa) tanti elementi in apparenza contrastanti si compongono in unità. Come succede a chi fa del Vangelo il proprio riferimento, la propria guida.
Per capirlo bisogna spostarsi a Oruro, nel nord della Bolivia, il piccolo centro minerario in cui l’allora giovane suora portò avanti la sua azione evangelizzatrice accompagnandola a uno straordinario intervento di promozione umana.
In quella zona in cui arrivavano i bisognosi di tutto portò la Parola di Dio nelle miniere e nelle carceri, aprì mense e centri di accoglienza in cui si insegnava anche a leggere e scrivere, sostenne le lotte operaie e la promozione della donna, tanto da organizzare il primo sindacato femminile. Si può dire che in Bolivia prese forma concreta l’Istituto religioso che rappresenta la sua eredità più grande, quello delle Suore missionarie della Crociate Pontificia, poi Missionarie Crociate della Chiesa.
In realtà Nazaria era nata a Madrid il 10 gennaio 1889, figlia di un commerciante e di un cattolica non praticante che diede alla luce 18 figli di cui sopravvissero in 10. Trasferitasi in Messico con la famiglia per ragioni economiche a 17 anni, sulla nave che la portava in America Latina conobbe due “Piccole Suore degli anziani abbandonati” rimanendone molto colpita. Così entrò in quell’ordine operando presso l’ospizio Matias Romero a Città del Messico. Tornata a Palencia, in Spagna, per il noviziato, fu assegnata a Oruro in Bolivia, dove rimase dodici anni.
Qui nel 1920 durante gli esercizi spirituali le sembrò di vedere che Gesù la cercava. Iniziava così un percorso di sempre maggiore crescita nella sequela di Gesù che lo portò a concepire il nuovo istituto religioso, fondato il 6 giugno 1925.
Dalla Bolivia la fondatrice si trasferì in Argentina dove una volta di più promosse iniziative a favore soprattutto di poveri e ragazze.. Nel 1943 malgrado la salute malferma volle partecipare al Capitolo generale dell’Istituto che si tenne a Buenos Airese e qui incontrò la morte, il 6 giugno, a 54 anni.
Proclamata beata da Giovanni Paolo II il 27 settembre 1992, la salma della religiosa è, per sua espressa richiesta a Oruro. (Riccardo Maccioni)
Caterina Kasper nacque nel villaggio di Dernbach, in Germania, il 26 maggio 1820. Per aiutare la sua numerosa famiglia, trascorse l’adolescenza in lavori umili come quelli dei campi, oppure spaccando le pietre che servivano per lastricare le strade.
Nel 1842 perse il padre e un fratello: insieme alla madre, iniziò a compiere lavori di tessitura e, nel frattempo, aveva dovuto vendere la casa.
Intanto continuava ad avere in cuore il desiderio di consacrarsi a Dio, sebbene non volesse entrare in nessuna famiglia religiosa esistente. Ne fondò una lei, appoggiata dai suoi parrocchiani.
Cominciò la vita comune con alcune compagne nel 1845: tre anni dopo, il giorno dell’Assunta, aprì la loro casa ai poveri del paese.
Al nuovo sodalizio diede il nome di Povere Ancelle di Gesù Cristo, mentre lei, con la vestizione religiosa, aggiunse al proprio quello di Maria. Con la stessa tenacia degli anni giovanili, madre Maria Caterina seguì la formazione delle novizie e l’apertura di nuove case, anche all’estero, per aiutare gli immigrati tedeschi. Un infarto la raggiunse il 27 gennaio 1898: morì il 2 febbraio, all’alba. È stata beatificata da Paolo VI il 16 aprile 1978. Il 6 marzo 2018 papa Francesco ha riconosciuto un ulteriore miracolo per sua intercessione, aprendo la via alla canonizzazione.
Fonte www.avvenire.it
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