EL SALVADOR – Questa domenica 8 febbraio, nella Cattedrale Metropolitana del “Divino Salvador del Mundo” di San Salvador, i vescovi della Conferenza episcopale salvadoregna, presieduta dall’arcivescovo della capitale, mons. Luis Escobar Alas, concelebreranno una solenne Eucarestia di ringraziamento per la prossima beatificazione di mons. Oscar Arnulfo Romero. Ci sarà anche un ringraziamento per l’apertura della causa di beatificazione del gesuita Rutilio Grande, amico di mons. Romero, e figura determinante nei comportamenti pastorali dell’arcivescovo martire della fede e della giustizia.
Numerose e concordanti testimonianze, serie e autorevoli, consentono di dire che il futuro beato, quando venne nominato vescovo ausiliare di San Salvador (1970), come immediato collaboratore dell’ ordinario diocesano del momento, mons. Luis Chávez y González, poi vescovo di Santiago de María e infine, nel 1977, arcivescovo metropolita di San Salvador (insediato il 22 febbraio), era un sacerdote piuttosto conservatore e non direttamente interessato alle vicende socio-politiche con risvolto pastorale.
E’ ben noto, anche perché lo stesso mons. Romero lo riconobbe a più riprese, che fu l’assassinio del gesuita suo amico, padre Rutilio Grande, il 12 marzo 1977 , insieme con altre due persone (Manuel Solorzano, 72 anni e Nelson Rutilio Lemus, 16 anni) mentre viaggiavano su una jeep, a gettare le basi della svolta del neo arcivescovo salvadoregno. Mons. Romero capì subito che si trattava di un crimine di stato, in quei anni all’ordine del giorno nel Paese centroamericano, e chiese indagini vere e approfondite. Non ricevette in cambio nessuna risposta, anzi, da quel momento fu identificato come il principale target della stampa del governo (l’unica esistente). La svolta pastorale dell’arcivescovo si palesa con due gesti clamorosi al quale si sono opposti molti esponenti della Chiesa salvadoregna: celebra una Messa nella piazza Barrios della capitale, il 20 marzo, per le tre vittime del regime e pronuncia una dura omelia di denuncia e condanna della violenza nutrita e foraggiata dal governo con il pretesto di sconfiggere la minaccia comunista. E’ il momento dell’esplosione dei famigerati “squadroni della morte”.
Negli anni successivi Romero piangerà l’uccisione di altri sacerdoti (maggio 1977, p. Alfonso Navarro Oviedo; gennaio 1978, padre Neto Barrera; gennaio 1979, padre Octavio Ortiz insieme con quattro giovani; giugno 1979, padre Rafael Palacios; 4 agosto 1979, padre Napoleon Alirio Macias).
La protesta di Romero va oltre: non partecipa all’insediamento del Presidente generale (1° luglio 1977), Carlos Umberto Romero, e nei tre anni successivi non prenderà parte a nessuna cerimonia ufficiale dello Stato e del Governo. Nel frattempo chiede verità e giustizia guadagnandosi l’antipatia, l’opposizione e perfino l’odio della destra politica, dei paramilitari protetti dal governo, dalla stampa addomesticae da chiunque ritiene che “l’unico comunista buono è il comunista morto” e per “comunista”, ovviamente, s’intendeva qualsiasi salvadoregno contrario e critico del regime civico-militare.
Intanto, tra il 1977 e il 1980, mons. Romero incontra due volte Papa Paolo VI (1977 e 1978) e due volte Giovanni Paolo II (1979 e 1980).
Wojtyla e Romero
Hilari Raguer, su “Periodista digitale” racconta: “Oscar Romero, negli ultimi due anni della sua vita, consapevole dell’importanza storica del momento e del pericolo (che correva ogni giorno), ha preso l’abitudine ogni sera prima di coricarsi, di registrare su nastro una sintesi dei più importanti fatti e riflessioni del giorno. Nel 1990, dieci anni dopo il suo assassinio, la Curia Arcivescovile di San Salvador pubblicò la trascrizione integrale e fedele di quei nastri, senza introduzione o note o osservazioni (…) Quanto racconta di Giovanni Paolo II può illustrare ciò che è stato il suo pontificato a fronte della teologia della liberazione e l’impegno per la giustizia e i diritti umani: una bella enciclica e anche una politica realistica. Oscar Romero, nelle sue visite a Roma, ha vissuto momenti di grande dolore per l’ostilità che ha trovato, non tanto da parte di Giovanni Paolo II (sul quale parla sempre con gratitudine per il trattamento fraterno), quanto nell’ambiente (entourage del Papa), fortemente influenzato dai rapporti negativi del Nunzio e della maggior parte dei vescovi salvadoregni. (…)
Quando, dopo una lunga attesa erano finiti i suoi soldi per stare a Roma, il 7 maggio 1979, finalmente Mons. Romero è stato ricevuto dal Papa che gli ha raccomandato ‘molto equilibrio e cautela, soprattutto quando si facevano accuse specifiche.’ (…) Aggiunge Romero: ‘Ho chiarito tutto al Papa e lui mi ha dato ragione. Ho detto che ci sono circostanze, e ho citato ad esempio il caso di Padre Octavio (un sacerdote assassinato) in cui occorre essere chiari e puntuali.’
Il 30 gennaio 1980 mons. Romero ha avuto un’altra udienza, durante la quale Giovanni Paolo II gli ha detto che ‘aveva capito perfettamente quanto sia difficile la situazione politica nel mio Paese e ha parlato anche sul ruolo della Chiesa. Abbiamo tenuto conto non solo della difesa della giustizia sociale e dell’amore per i poveri, ma anche sul possibile risultato di spostamenti o rivendicazioni (a sinistra o della sinistra) che potrebbero provocare del male alla Chiesa.’ Oscar Romero racconta infine di aver risposto: ‘Santo Padre, questo è proprio l’equilibrio che cerco di salvare, perché, in primo luogo, io difendo la giustizia sociale, i diritti umani, l’amore ai poveri, e in secondo luogo, sono sempre preoccupato affinché la difesa di questi diritti umani ci porti a cascare in ideologie che distruggono i sentimenti e i valori umani'”.
di Luis Badilla per la Redazione del blog ‘Il Sismografo’