Questa domenica vi portiamo in provincia di Rovigo, precisamente a Melara per farvi conoscere la Madonna del Lume, la cui bellissima storia arriva da molto lontano.
L’immagine della Madre Ss. dell’Eterno Lume infatti, è stata portata a Melara, nella Chiesa parrocchiale di San Materno, dal missionario Gesuita messicano Blas Arriaga nel 1780.
In una lapide annessa all’altare c’è un’iscrizione molto importante: quella dell’Indulgenza Plenaria Perpetua Quotidiana concessa nel 1780 da Papa Pio VI.
Il 21 novembre di ogni anno si celebra l’anniversario dell’Apparizione, che avvenne a Palermo nel 1722.
La bellissima pala d’altare della Madonna del Lume giunse a Melara nel 1780, e fu donata da uno straniero, il missionario gesuita messicano padre Blas Arriaga (in quel tempo Melara apparteneva alla Diocesi e al Ducato di Ferrara).
La devozione verso questa Sacra Immagine accese subito gli animi dei melaresi, e divenne nel tempo sempre più forte. La nostra gente ha sempre custodito con amore e tramandato oralmente, di generazione in generazione, la storia misteriosa di questo Dipinto (storia in gran parte confermata anche dalle ricerche storiche), e il modo “miracoloso” in cui arrivò a Melara. La fede semplice e forte con cui si è subito venerata la Madonna del Lume, la fede dei nostri avi, la fede dei nostri anziani, questa grande fede nella Madonna del Lume ha caratterizzato profondamente la spiritualità dei melaresi.
Nel 1760 il re di Spagna Carlo III aveva cacciato tutti i missionari dalla Spagna e da tutti i suoi possedimenti (“le Spagne”), quindi anche dal Messico. Nel 1767 era stata soppressa anche la Compagnia di Gesù, e i Gesuiti furono costretti all’esilio. Il missionario che donò la prestigiosa Tela della Madonna del Lume alla nostra chiesa era padre Blasio Arriaga, uno di questi Gesuiti espulsi dal Messico ed esiliati nello Stato Pontificio. Insieme con altri confratelli, p. Arriaga era diretto a Ferrara.
Savino Chiavegatti, un ricercatore melarese che ha dedicato la vita alla ricerca sulla Madonna del Lume e ha stampato privatamente migliaia di pagine sull’argomento, scrive: “Padre Arriaga, destinato alla legazione di Ferrara (che in quel tempo comprendeva Melara, paese di frontiera dello Stato Pontificio), portava con sé l’originale della Madonna del Lume”.
Questi esuli Gesuiti custodivano dunque, come un tesoro prezioso, il grande bellissimo dipinto della Madre della Luce.
Nell’ultimo tratto della loro peregrinazione, questi missionari messicani seguirono il corso del Po navigando su una barca. La storia suggestiva e misteriosa di questo loro viaggio sull’acqua del nostro fiume è riportata dal Chiavegatti secondo il racconto della tradizione raccolto dalla voce di un’anziana signora di Melara.
Ecco la storia. Poiché questi missionari erano ormai vecchi, e temevano di non poter più custodire in sicurezza il loro tesoro, dopo tanto peregrinare decisero di donare il prezioso quadro alla chiesa del primo paese che avessero incontrato lungo le rive del Po. E così fecero. Ma avvenne che, quando tornarono sulla barca, un po’ tristi per essersi separati da quell’Immagine Sacra che tanto amavano, misteriosamente ve la ritrovarono. Il miracolo si ripeté in diversi paesi: il quadro veniva portato nella chiesa del paese dove si fermavano, e ogni volta che tornavano sulla barca per ripartire, i missionari lo ritrovavano ancora lì, senza che nessuno ve lo avesse portato e senza capire come ciò poteva essere successo.
Nel frattempo la voce si era sparsa, e la gente dei vari paesi cominciò a radunarsi sempre più numerosa sull’argine del Po ad attendere l’arrivo della barca dei missionari, e per accogliere la Madonna miracolosa, pregando che volesse rimanere nella loro chiesa. Ogni chiesa infatti si sarebbe sentita onorata di ricevere in dono un quadro così bello, e ovunque si sperava che quella Madonna si fermasse.
Ormai il miracolo non sarebbe più stato il misterioso ritrovamento del Quadro sulla barca, bensì il fatto che l’Immagine della Madonna del Lume finalmente si fosse fermata in una chiesa.
Anche i melaresi si affollarono sull’argine del Po, con il parroco e il consiglio comunale, e accolsero solennemente la Madonna del Lume con canti e preghiere, sbandierando il rosso gonfalone di san Materno, patrono di Melara, e gli stendardi delle varie associazioni e confraternite; poi l’accompagnarono numerosissimi in chiesa con una processione maestosa. I melaresi erano gioiosi, ma anche tristi, perché pensavano che la Madonna se ne sarebbe andata anche da Melara, come era successo nei tanti paesi dove i missionari l’avevano portata. Questa volta invece la Madonna rimase…
La Madonna del Lume aveva voluto fermarsi proprio a Melara! Era l’ottobre del 1780.
Il fatto straordinario emozionò profondamente il nostro paese.
L’Immagine della Madonna del Lume fu accolta dai melaresi con intensa commozione e gioia grande. Venne subito venerata come miracolosa, e acclamata Protettrice di Melara.
Così si esprime il parroco don Dal Pin nell’Avviso Sacro da lui scritto in occasione del 1° Centenario (1880): “Con quale entusiasmo fosse accolto quel sacro dono lo manifesta il magnifico Altare che la Comunità di Melara volle eretto a pubbliche spese per collocarvi la stupenda Pala; e le Indulgenze concesse dal sommo Pontefice PIO VI a chi visita la venerata Immagine. Né mai venne meno la fervente divozione di questo popolo religioso verso la Madre dell’Eterno Lume; né mancò mai l’aiuto di Maria, invocata sotto questo Titolo, ai buoni Parrocchiani, che nelle Tabelle Votive, appese al Santo suo Altare, a noi tramandarono la memoria delle grazie ricevute dalla Madonna del Lume nei giorni del dolore, nelle grandi catastrofi della vita. Quella Sacra Immagine è la Protettrice, ed è la gloria del popolo di Melara”.
La storia della Madonna del Lume è davvero speciale. E non soltanto per il suo arrivo misterioso a Melara, ma anche per come sarebbe stato dipinto il quadro.
Il missionario gesuita padre Giovanni Antonio Genovesi (1684-1743), di Palermo, desiderava portare con sé in missione un’immagine della Madonna, come patrona speciale del suo apostolato.
Incaricò quindi una religiosa veggente di farsi indicare dalla Madre di Dio l’immagine e l’invocazione con cui Ella avrebbe voluto essere venerata nel particolare significato missionario.
Secondo documenti del tempo, la Vergine apparve alla veggente e le disse: “Voglio essere dipinta su una tela così come tu mi vedi ora, e voglio essere invocata col nome La Madre Santissima del Lume “.
La veggente riferì tutto al padre Giovanni, che cercò subito un pittore e gli fece descrivere dalla veggente la visione che aveva avuto. Il pittore dipinse il quadro, che però non soddisfece la Madonna in quanto non corrispondeva in tutto alla visione. La Madonna allora assicurò la veggente che sarebbe stata presente Lei stessa durante la pittura di una seconda copia. Così avvenne: mentre la veggente suggeriva al pittore ciò che vedeva, la Madonna dirigeva la mano del pittore e lo ispirava.
Compiuta l’opera, la Madonna approvò la Sacra Immagine e la benedisse.
Era il 1722.
Il bellissimo quadro divino, inizialmente custodito dai padri Gesuiti a Palermo, dopo qualche tempo scomparve, e al suo posto cominciarono a circolare numerose copie.
Si scoprì poi che la bellissima e miracolosa “tela” benedetta personalmente dalla Vergine era stata portata in Messico nel 1732 dal fratello di padre Antonio Genovesi, Giuseppe, anch’egli missionario gesuita.
Intanto si moltiplicavano le copie del bellissimo Dipinto e la nuova devozione si diffondeva rapidamente, in Italia e all’estero.
Subito fiorirono molte conversioni: ovunque i peccatori accorrevano a vedere l’Immagine miracolosa e si prostravano ai suoi piedi. Non solo: “nelle popolazioni cresceva sempre più il bisogno di amore e di pace, tanto che cessarono i rivolgimenti politici e le turbolenze popolari, non solo in Sicilia, ma anche nell’Italia meridionale, e nelle Spagne, e terminarono le lotte per l’incoronazione di Carlo III a re di Sicilia, figlio di Elisabetta Farnese, regina di Spagna” (Occhibianco).
Tutto ciò dimostra che la Madonna non è estranea alle vicende della storia, e che il suo intervento è talmente efficace da poter cambiare le sorti della nostra vita personale e quelle dei popoli.
La Madre della Luce non può portare che pace, e collaborare col Figlio-Luce per salvare il mondo e ognuno di noi.
Il resto della storia lo sappiamo: quando, dopo la prima metà del 1700 in Messico iniziarono le persecuzioni, i Gesuiti cacciati in esilio se ne andarono portando in salvo il Quadro miracoloso, e ne fecero dono alla chiesa di Melara.
I documenti non ci dicono per quale motivo padre Arriaga lasciò questo Quadro benedetto proprio a Melara. Una ricercatrice palermitana, Ambra Balsamo, ci disse che a Palermo non si riesce a capire perché questo Quadro, dipinto a Palermo secondo le indicazioni della Madonna e da Lei stessa benedetto, si trovi proprio Melara.
Secondo la Balsamo, le recenti indagini condotte a Palermo confermerebbero la teoria del nostro studioso melarese Savino Chiavegatti: la Sacra Immagine della Madonna del Lume conservata nella chiesa di Melara sarebbe il modello originale delle tante Immagini della Madonna del Lume che si venerano in Italia e nel mondo, molte misteriosamente “arrivate” dall’acqua, dal mare o attraverso un fiume, così come la nostra è “arrivata” attraverso il Po.
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Le varie ricerche di cui siamo venuti a conoscenza confermerebbero la tesi di Savino Chiavegatti il quale, in base ai suoi lunghi approfonditi studi, conclude che il modello primo delle innumerevoli copie sparse per il mondo sia quasi certamente l’Immagine della Madonna del Lume che si trova nella chiesa di Melara (Rovigo).
La pala della Madre SS. dell’Eterno Lume di Melara è una tela con la base di cm.177 e l’altezza di cm.249,5. Le due misure non sono casuali, ma legate da un rapporto: l’altezza è lunga quanto la diagonale del quadrato costruito sulla base. Rapporto, questo, di stampo classico, che si riscontra spesso anche nel Botticelli (e ciò, insieme allo stile artistico, ha portato il Chiavegatti ad ipotizzare che la Sacra Immagine potesse essere stata dipinta dallo stesso Botticelli o da un pittore della sua scuola).
Il dipinto è realizzato ad olio.
La scena è dominata dalla grande figura della Vergine che, in un cielo coperto di nubi, irradia luce su ciò che la circonda: l’anima dell’opera è soprattutto la luce.
L’intera scena, superato il turbamento che vorrebbe ancorarla alle tenebre dell’angolo sinistro della tela, sale poi a galleggiare sempre più nella luce. Nell’angolo inferiore sinistro, infatti, la mostruosa testa di un essere feroce che sta tra l’umano e il bestiale, con le fauci spalancate e i denti aguzzi, rappresenta il demonio, l’inferno, il male. Il mostro spaventoso è rappresentato soltanto nella testa, sede dell’intelligenza umana; il resto del corpo pare oltrepassare la cornice per espandersi invisibilmente e pericolosamente, nel tentativo di avvolgere anche chi guarda nelle sue spire serpeggianti. Da questo angolo tenebroso si estende una base di nubi fosche e indefinite, che rappresentano l’opacità e l’inconsistenza fumosa del mondo.
Il mostro sta per addentare un “Giovane Ignudo”, come lo definisce Savino Chiavegatti, coperto appena da un lenzuolo che gli avvolge il bacino e il braccio destro. Il suo corpo sinuoso è una massa di colore che rappresenta la nostra umanità, la fragilità della nostra carne; il suo sguardo perplesso e triste rappresenta i nostri occhi smarriti. Il giovane ha un piede nelle fauci del mostro e un altro fuori. Sul suo volto non appare né angoscia né spavento, anche se sotto di lui l’inferno è pronto ad inghiottirlo: la Vergine lo sta salvando, e il giovane non può avere paura.
La Madre della Luce poggia i piedi sul capo di due Angeli che emergono dalle nubi del mondo. Verso l’alto queste nubi si diradano sempre più e si illuminano. Oltre il capo della Vergine le nubi diventano luce e fanno emergere volti di Angeli .
Maestosamente umile e alta, la Vergine illumina tutta la scena, e si mostra come Colei che sola può offrirci a Cristo. La bellezza del suo volto diafano, senza colori e tutto luce, è soavissima; le sue labbra accennano a un sorriso che conforta e nasconde parole di incoraggiamento che ognuno che “ascolta” può sentire rivolte esclusivamente a sé; il suo sguardo penetra nel cuore e vi legge i recessi più nascosti, la nostra vita più profonda.
La veste della Vergine è candida, quasi lucente, cinta da una cintura tempestata di rubini e di zaffiri.
Un mantello turchino avvolge la figura di Maria riflettendone la luce nelle pieghe fluttuanti. Incorporea e luminosa, ci appare veramente come la “Donna vestita di sole” dell’Apocalisse.
Due Angeli reggono alta sul capo della Vergine una corona regale.
Più in alto, nel cielo, appare il cerchio delle dodici stelle.
Appoggiato al braccio sinistro della Madre è il Santo Bambino, il cui volto, quasi trasparente, sembra impastato di luce. Egli tiene un cuore fiammeggiante in entrambe le mani.
Inginocchiato ai piedi del Bambino c’è un Angelo, che solleva un piccolo cesto colmo di cuori infuocati.
Il Bambino tende il braccio sinistro verso il cestello, per deporvi il cuore che sta tenendo in mano, anche questo ardente.
L’Angelo è ancora inginocchiato, ma vi si sente quasi il fremito di un movimento: sembra che stia per sollevarsi in volo, pronto a portare al Padre il cesto dei cuori.
Ogni riferimento di spazio e di tempo sembra superato. Non vi sono distrazioni: nessun paesaggio, nessun particolare ambientale, nemmeno la nostra terra è tratteggiata come tale. Questo simbolismo profondo, questa essenzialità dei soggetti proietta il cuore oltre i limiti del mondo ed esalta al massimo la solennità del messaggio divino.
L’angoscioso senso di pericolo rappresentato nell’angolo di sinistra si trasforma in malinconia struggente nell’abbandono del giovane all’aiuto della Vergine, esplode nella luce che irradia dalla Madre del Lume e inonda la scena di pace e forza spirituale.
Possiamo veramente dar ragione al Chiavegatti quando sostiene che questo dipinto appare come “non fatto da mano d’uomo”, proprio come avvenne per alcune antiche icone (icone “acheropite”), o che almeno sia stato ispirato dall’alto, come avviene per tutte le icone, che sono la Parola di Dio tradotta in linee e colori, sono la Bibbia offerta dalla Chiesa primitiva anche agli analfabeti. Anche il Dipinto della Madonna del Lume “si legge”, proprio come si legge un’icona. Le icone infatti “si scrivono” per comunicare il messaggio della fede della Chiesa, e non “si dipingono” come i quadri religiosi: mentre i quadri religiosi sono espressioni personali della sensibilità dell’artista, le icone contengono la “presenza” di chi vi è rappresentato e comunicano le verità della fede, perciò devono essere “scritte” secondo i canoni fissati dalla Chiesa, e devono essere approvate dalla Chiesa, perché potrebbero trasmettere messaggi non veritieri, quindi potrebbero essere eretiche. Il messaggio dell’icona non viene filtrato da ragionamenti, ma penetra direttamente nel cuore di chi la contempla, e la sua forza spirituale ricolma l’essere. Non occorre essere colti per “comprendere” un’icona: basta avere il cuore umilmente aperto, perché è il cuore che “legge” l’icona, non la ragione.
Il Dipinto della Madonna “si legge” da sinistra a destra, seguendo una traiettoria piramidale: dalla tenebra del male in cui è avvolto il mondo si sale all’immagine del giovane che ci rappresenta tutti, salvato dalla Madre della Luce. Seguendo il braccio della Madonna che porta alla salvezza, si sale sempre più verso la luce, fino al volto splendente di Maria, avvolto in un mare di luce e irradiante esso stesso luce: è la luce del Figlio che, levitante sul braccio sinistro della Madre, concentra in Sé il riferimento di tutta la scena, e cioè il cesto dei cuori sostenuto dall’Angelo. Scendendo sul lato destro del dipinto, attraverso la figura dell’Angelo si torna a una terra salvata, custodita dagli Angeli, e sulla quale poggiano i piedi della Madre.
Così l’unità della scena non è data soltanto dall’armonia dei volumi e dei colori che si stemperano nella luce, ma soprattutto dal legame intimo che intreccia le figure e crea una mistica successione di immagini, che dispone l’animo alla contemplazione.
Il Dipinto non è firmato, come non sono firmate le icone, perché Autore di ogni icona non è la persona che l’ha “scritta”, ma lo Spirito Santo che l’ha ispirata.
Come un’icona, nemmeno questo Dipinto poteva essere “firmato”, dal momento che la mano del pittore era stata guidata dalla Madonna.
Come un’icona, questo Dipinto “parla” direttamente all’anima senza aver bisogno di spiegazioni e interpretazioni razionali; come un’icona comunica a chi lo contempla lo Spirito che lo ha suggerito e che lo anima; la forza della divina Presenza investe l’essere di chi prega, e la potenza della Luce divina, trasmessa attraverso l’Immagine, concede grazie spirituali e corporali, ma soprattutto suscita la conversione del cuore.
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La storia della devozione alla Madonna del Lume è ormai riconosciuta, soprattutto dopo che sono stati ritrovati i due volumi dell’opera scritta dal padre gesuita Antonio Genovesi, promotore del culto della Madonna del Lume, pubblicati nel 1733 in forma anonima: il primo volume si trova a Palermo, nella Biblioteca Nazionale (con scheda 4/16/A/1-2), e il secondo a Roma, nella Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele”.
Ma chi era questo padre Genovesi?
Giovanni Antonio Genovesi (1684-1743) era un sacerdote gesuita, che si prodigò nell’apostolato missionario con grande fede e abnegazione.
Nato a Palazzo Adriano (PA), fu un grande devoto della Madonna, e a Lei aveva consacrato le fatiche della sua predicazione.
Dopo aver assistito alla prodigiosa realizzazione della Tela della Madonna del Lume, promosse con fervore la nuova devozione alla Madre di Gesù “Luce del mondo”.
Lasciò anonima l’opera “La devozione di Maria Madre SS del Lume”, poi pubblicata sotto il nome di padre Emanuele Aguilera.
Insegnò materie letterarie nel Collegio dei Gesuiti di Palermo e fu anche Rettore e Maestro dei Novizi a Messina.
Morì di peste, in concetto di santità, assistendo gli appestati.
Aveva un fratello, Giuseppe Ignazio Maria (1681-1717), anch’egli sacerdote gesuita che, avendolo lui stesso richiesto, fu mandato in missione in Messico. Anch’egli grande devoto della Madonna, aveva diffuso con fede ed entusiasmo il culto della Madonna di Guadalupe, e portò nel Nuovo Continente la Tela benedetta della Madonna del Lume, diffondendone la devozione, che era nata in Sicilia grazie al fratello Giovanni Antonio.
Occhibianco, nel suo libro sulla Madonna del Lume, scrive:
“A coronamento di tale predicazione nel 1733 furono pubblicate le due opere omiletiche ed apologetiche di questa nuova devozione. Per evitare contestazioni, l’opera, in due volumi, venne pubblicata sotto nome generico “da un sacerdote della Compagnia di Gesù” e fu accolta dal pubblico come opera di p. Emanuele Aguilera, noto scrittore di storia siciliana.
Il primo volume reca esplicitamente l’imprimatur rilasciato da Siloti e da P. Brago. L’opera era intitolata “La divozione di Maria Madre SS. del Lume”, distribuita in tre parti, da un Sacerdote della Compagnia di Gesù di Palermo, 1733. Nello stesso anno, in collaborazione col confratello p. Aguilera, il Genovesi pubblicava pure “Devotio et obsequia erga Deiparam, novo titulo Matris Sanctissimae Luminis, auctore anonimo, qui est p. Joannes Antonius Genovesius, collato studio P. Emanuelis Aguilera… Panormi 1733, in 8, 2 Tomi2 (Cfr. Sommervogel, Bibliotehèque de la Compagnie de Jesus, I, Lovanio 1890, coll. 85-87)”.
Possiamo ricevere ulteriori chiarimenti da una corrispondenza di Chiavegatti con i padri Gesuiti. Il 20 maggio 1994 Chiavegatti ricevette dal padre gesuita Mario Colpo (dell’Institutum Historicum S.J.) tre fotocopie di pagine tratte dai volumi del bibliografo gesuita padre Charles Sommervogel (1834-1902), contenenti i nomi degli scrittori gesuiti Manuel Aguilera, Giuseppe Maria Genovesi e Giovanni Antonio Genovesi, che furono i primi a pubblicare dei libri relativi all’Immagine e al culto della Madonna del Lume. La risposta di Chiavegatti (21 giugno 1994) sintetizza i testi fotocopiati e ne precisa i contenuti:
“Giovanni Antonio Genovesi fu il promotore della Devozione alla Madre SS dell’Eterno Lume. Fu altresì l’autore precipuo del testo fondamentale in due tomi La Divozione di Maria Madre Santissima del Lume, alla cui stesura contribuì anche l’Aguilera. Giuseppe Maria Genovesi, Missionario in Messico, fu ardente divulgatore della Devozione, e nel 1737 fece stampare in Messico quest’epitome: Antidoto contra todo mal, la devocion a la SS Madre del Lumen… sacada (ricavata) de la obra grande (i due tomi dello fratello), que in Italiano se imprimiò en Palermo el 1733”.
Nel breve volgere di alcuni decenni (1722-1767) la devozione alla Madonna del Lume, nonostante la condanna della Congregazione dell’Indice nel 1745, s’era diffusa a macchia d’olio in Italia e all’estero, soprattutto in Messico, grazie all’opera attiva e convincente dei PP. Gesuiti.
Secondo le ricerche di Lugaresi e Bononi (Atti del Convegno di Forlì, 1977), i motivi della condanna sarebbero:
1 – “per esprimersi e registrarsi in essa Opera una rivelazione cotanto insigne, e raccontarsi tanti miracoli, o siano grazie miracolose, senza dovuta critica ed esame”;
2 – “per riferirvisi rivelazioni e virtù d’una donna avanti la sua morte”;
3 – “per non esservi aggiunta la protesta dell’autore prescritta già dal nostro S. Padre Urbano VIII citata in La Sacra Immagine della Madre Santissima del Lume, dichiarata ai fedeli nella pittura e nel titolo da un Sacerdote bolognese col Metodo pratico di venerarla e celebrarne la festa” . (Ed. Quarta, Roma 1839 – L’ultima pubblicazione conosciuta in Italia su tale nuovo culto).
Continua Occhibianco: “La raffigurazione della Madonna del Lume venerata in Sicilia è analoga a quella di Melara portata là dal Messico nel 1780 dall’ex gesuita p. Blasio Arriaga, espulso dal Messico nel 1767 per ordine del re di Spagna Carlo III, insieme a molti altri padri, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù. Apostolo fervente e divulgatore di questa nuova devozione nel Messico fu p. Giuseppe Maria Genovesi SJ, il quale pubblicò la prima di una lunga serie di opere apologetiche incentrate sulla devozione alla Madonna del Lume, in Castigliano Madre Santisima de la Luz”.
Nella sua opera, p. Genovese sottolinea la profonda relazione della Madre SS.ma del Lume con lo SPIRITO SANTO e anche con gli ANGELI. Gli Angeli infatti hanno un ruolo importantissimo nel processo di “rigenerazione” dell’uomo adulto, cioè nell’accoglienza da parte nostra dello Spirito Santo e delle “illuminazioni” che Egli dona.
Grazie all’opera dei padri Gesuiti, la devozione alla Madonna del Lume si è diffusa a macchia d’olio fin dai primi anni del Settecento: da Palermo alla Sicilia e all’Italia meridionale, quindi al Messico e nel mondo. Oggi il culto della Madonna del Lume è molto diffuso in America Latina, e particolarmente in Messico (Leòn, Guadalupe, San Diego, Narino, Chinchilla), ma anche in Venezuela, in Colombia, in Brasile, in Perù; e ancora nelle Isole Filippine, nelle Marianne, nelle Isole Canarie, in California, nel Texas, nel Wisconsin, a New York, in Abissinia, in Cina a Canton e a Macao.
In Italia, la devozione alla Madonna del Lume si riscontra a Bologna, Ferrara, Faenza, Cesta (Ferrara) e lungo tutta la riviera sinistra del Po.
Alla Madonna del Lume sono dedicate parecchie chiese, in Italia e nel mondo.
Le immagini della Madonna del Lume furono tantissime, riprodotte su tela ad olio, su rame, a tempera, e persino su ardesia, materiale su cui è dipinto il quadro custodito nella chiesa di Porticello (Palermo).
La devozione si propagò anche tramite innumerevoli copie di carta, grandi e piccole, che i padri missionari dispensavano durante le loro missioni.
A Milwaukee, nello Stato del Wisconsin, l’Immagine della Madonna del Lume fu portata dagli immigrati siciliani di Porticello. L’Immagine fu miracolosamente scoperta in mare da un pescatore, nel Settecento, e il villaggio promise festeggiamenti annuali in Suo onore nel mese di ottobre.
Anche a Melara la Madonna del Lume viene festeggiata in ottobre, e anche a Melara la tradizione di un suo arrivo misterioso è legata all’acqua.
Fino agli inizi del secolo scorso, la grande pala d’altare veniva portata in processione sulle rive del Po, e la Madonna del Lume era invocata dai melaresi come protettrice del paese, soprattutto durante le pericolose piene del fiume.
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