Poi da domani le consultazioni con gli altri partiti. Matteo Renzi è ancora davanti allo stesso bivio: scegliere un candidato forte, che non sia un signor nessuno all’estero e che conosca nel profondo i meccanismi della politica italiana; optare per una figura che, come si è ripetutamente detto in questi giorni, “non gli faccia ombra”. In entrambe i casi è indiscutibile per il premier che debba trattarsi di un esponente del Pd, “arbitro super partes”, garante della Costituzione e dell’unità degli italiani.
Veltroni, Amato, Prodi sono ancora oggi i nomi che stanno in campo nella prima delle due ipotesi. In una fase di fragilità della politica interna ed internazionale, con una crisi ancora in atto e riforme appena avviate, esperienza politica a caratura internazionale sono ciò che rassicura i cittadini (questo è il motivo per cui Prodi e Veltroni restano in testa a diversi sondaggi). Ed anche un ‘rottamatorè come Renzi, allergico a condividere la ribalta della politica e non troppo disponibile ad affiancare il suo volto di politico ‘nuovò a quello di chi da tempo è in scena, può convincersi che sia utile avere al fianco un politico puro, dalle doti simili a quelle di Giorgio Napolitano, per reggere il timone della barca in eventuali marosi. Prodi non è una scelta possibile per il premier, per il quale sarebbe però impossibile ignorare il nome del fondatore dell’Ulivo, se questo uscisse dal segreto delle urne come espressione forte di tutti gli “Anti-Nazareno”. Per la stessa ragione, essendo Amato la prima scelta di Berlusconi ed Alfano gradita anche a bersaniani e dalemiani, il Dottor Sottile potrebbe risultare simbolo di un suggello del Patto del Nazareno al Colle e scatenare di nuovo i franchi tiratori nel Pd. Per questo il premier punta in primo luogo sull’orgoglio dei 460 grandi elettori Pd, e si sonda discretamente se su Veltroni l’unità sia raggiungibile, per poi costruire intorno a quella una maggioranza più ampia che includa Fi e Area Popolare.
“Non siamo autosufficienti”, continua a ricordare il vicesegretario Lorenzo Guerini. Ma una cosa sarebbe sommare i voti di Berlusconi e Alfano ai numeri già alti del Pd, altra cedere la golden share a causa di un Pd lacerato. Ma resta ancora possibile (per questo si susseguono una girandola di altri nomi, da Mattarella a Grasso, da Finocchiaro a Fassino, Chiamparino, Gentiloni, perché resta fermo il principio di partire dal Pd) una scelta che consegni a Renzi il ruolo di premier sempre più forte. Del resto il premier sta predisponendo le cose perché la sua figura assuma sempre più la forza di quella di un Cancelliere tedesco (come Angela Merkel che Renzi ha incantato a Firenze con Botticelli, Michelangelo e la pappa al pomodoro). La nuova legge elettorale, con il 55% al primo partito, la riforma del Senato e molti degli altri cambiamenti che il premier va attuando vanno nella direzione di un premier fortissimo, con al Quirinale un mero custode della Costituzione, della bandiera, dell’unità nazionale e dei simboli della Repubblica. È il premier che deve scegliere. E, come scrive oggi Eugenio Scalfari, se fa la scelta giusta il merito è suo, ma se sbaglia anche la colpa sarà sua.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire
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