Nella campagna militare Usa iniziata l’8 agosto, per la prima volta i caccia americani hanno colpito vicino a Baghdad, in quello che un funzionario della Difesa ha definito l’inizio di un intensificarsi delle azioni contro il cosiddetto Stato islamico in Iraq. Intanto alla conferenza internazionale a Parigi il fronte della coalizione anti Isis si compatta. Il servizio di Fausta Speranza per la Radio Vaticana:
Lotta “con ogni mezzo necessario” alla minaccia globale dell’esercito islamico, appoggio incondizionato a Baghdad contro i jihadisti, coalizione ampia che guarda oltre i suoi confini: a Parigi si contano le forze e si lancia un messaggio chiarissimo: nel comunicato finale, dopo la dizione “con ogni mezzo necessario”, si legge nero su bianco: “compreso un aiuto militare appropriato”. Attorno al tavolo – ancora una volta francese come alla vigilia dell’intervento in Libia – 27 ministri degli Esteri occidentali e arabi accolgono l’appello che l’Iraq lancia tanto concretamente da chiedere precisamente raid aerei. Ma nel fronte anti-Isis, in cui compaiono almeno 10 Paesi arabi, manca l’Iran e l’Iraq se ne rammarica pubblicamente. Il punto è che al momento il cosiddetto Stato islamico controlla un’area tra Iraq e Siria e, dunque, all’orizzonte c’è anche un’azione militare su territorio siriano. Obama l’ha detto esplicitamente una settimana fa. Il presidente Assad si è detto d’accordo se coordinato con Damasco. Ma questo a Teheran non basta.
Ma in particolare del ruolo dell’Iran, nell’emergenza Isis, Benedetta Capelli ha parlato con Alessandro Corneli, già docente di Relazioni Internazionali alla Luiss di Roma:
R. – Sì, certo. Per quanto riguarda l’Iran ci sono state dichiarazioni, anche recenti, del presidente Obama e del segretario di Stato Kerry, in base alle quali gli Stati Uniti non avevano intenzione di chiedere una collaborazione con l’Iran. Questo, naturalmente, ha posto gli iraniani nella condizione di dire, “non cooperiamo”. È chiaro che l’Iran è un protagonista della vicenda, sia per i suoi rapporti con tutte le formazioni sciite, sia perché si trova nel cuore della regione; rimane uno spettatore interessato. “Spettatore” per modo di dire, perché naturalmente i gruppi sciiti fanno riferimento all’Iran dal quale ricevono aiuti. Questa è un po’ la situazione di tutti i Paesi dell’area, ciascuno dei quali ha, praticamente, un doppio fronte, se non un triplo fronte nei confronti della minaccia del califfato che interessa non tanto l’Iran quanto piuttosto la comunità sunnita. I vicini nella regione sono sospettosi l’uno dell’altro. Basti pensare al rapporto tra Iran e Arabia Saudita, i due giganti, poi ci possiamo mettere anche la Turchia la quale sta, appunto, alla finestra e non vuole assolutamente impegnarsi.
A cura di Redazione PapaBoys fonte: Radio Vaticana