Il Male non può vincere sempre. Le storie di grande sofferenza, ma a lieto fine di Cristina e Lamja lo dimostrano. Cristina è una bimba cristiana strappata dalle braccia della madre dai tagliagole delle bandiere nere quando aveva 3 anni. Lamja è una giovane yazida sfigurata, che dal 2014 è stata costretta a diventare una schiava sessuale delle milizie jihadiste.
Il Giornale, grazie a voi lettori che avete sostenuto Gli occhi della guerra, ha raccontato le loro storie fin dall’inizio, quando c’erano ben poche speranze per un lieto fine.
Nell’estate di tre anni fa le bandiere nere conquistavano un terzo dell’Irak cacciando 120mila cristiani da Mosul e Ninive. Sfollati che per mesi hanno vissuto nel centro commerciale in costruzione di Ankawa ad Erbil, capoluogo del Kurdistan, dove gli «alloggi» erano dei loculi. Nel loculo A203, quattro metri per quattro, sopravviveva la famiglia di Cristina Khader Ebada, una bimba di 3 anni. Il padre, cieco, faceva il segno della croce come benvenuto. Per loro l’incubo, che sembrava senza fine, è iniziato il 22 agosto 2014. La madre Aida ci aveva raccontato disperata: «Sono arrivati urlando Allah o Akbar e che i cristiani devono andarsene. Prima siamo stati derubati e poi un uomo vestito di nero, sguardo da diavolo e capelli bianchi, si è preso la mia bambina. Non l’ho più vista e non so dove sia». Per Cristina si sono mobilitati i francescani di Assisi, ma è stato padre Ignatius Offy, sacerdote siro-cattolico a compiere il miracolo. Fin dall’avvento delle bandiere nere il sacerdote ha cercato di rintracciare e salvare i cristiani tenuti in ostaggio «e Cristina in particolar modo, perché era la più piccola di tutti». Dopo essere stata presa dall’Isis e messa in vendita nella moschea di Mosul, una famiglia musulmana si è presa cura di Cristina. «Avrebbero voluto riportarla ai genitori, ma temevano per la sua sicurezza. Così l’hanno tenuta con loro, amata e curata come una figlia» racconta padre Offy. Con la liberazione quasi completa di Mosul, i genitori adottivi hanno contattato la famiglia di Cristina. E il 10 giugno la bimba, che ormai ha 6 anni, è tornata fra le braccia della madre. Lamja Bashar è una giovane yazida sopravvissuta all’inferno di sposa forzata dei mujaheddin. A 16 anni le orde jihadiste giunte dalla Siria l’hanno rapita nei dintorni di Sinjar nel Nord Est dell’Irak. Dei suoi genitori non ha saputo più nulla. Gli uomini neri l’avevano portata a Raqqa, dove è stata comprata dal primo dei quattro mariti, che l’hanno picchiata e ridotta a schiava del sesso. Uno di loro, Imad confezionava le cinture esplosive e le macchine minate.
«Mi ha costretto ad aiutarlo. Ho provato a scappare, ma sono stata ripresa. Assieme a un suo compare saudita mi hanno legata al soffitto e bastonata con un tubo di gomma dura, fino a quando non perdevo sangue dal naso» ci ha spiegato Lamja quando l’abbiamo incontrata appena fuggita dall’incubo. Il suo volto era terribilmente sfigurato.
Il 19 aprile dello scorso anno è riuscita a scappare con due amiche yazide, pure loro spose forzate dei mujaheddin. Prima di raggiungere le linee curde e la libertà sono finite in un campo minato. «Ho visto un lampo di luce davanti ai miei occhi e Katerina che saltava in aria. Prima di svenire l’ho chiamata sentendo solo un rantolo come risposta» ci ha raccontato sottovoce Lamja. Dall’occhio destro è cieca e da quello sinistro aveva perso la vista per il 40%, ma ha voluto con tutte le sue forze tornare a vivere dopo un anno e mezzo d’inferno. Il 14 giugno la giovane yazida con i capelli corvini raccolti in una coda e un vestitino nero a pois si è presentata a Venezia, al Campus universitario per i diritti umani dell’Ue. Dopo aver vinto il premio Sakharov il suo obiettivo «è combattere i soprusi e le violenze di Daesh, soprattutto contro le donne, con la forza della parola, della mia testimonianza»
La sua voce lenta e quasi cantilenante, che non nasconde le sofferenze patite: «L’Isis ci ha ridotte a schiave, ma io sono ancora viva e forte. Non mi hanno piegato». Oltre 3mila donne e bambini yazidi sono ancora nelle grinfie del Califfo. In tutto quasi 9mila sono stati trucidati o rapiti e 5mila dispersi. Su una popolazione di 600mila persone ben 380mila sono sfollate e vivono nelle tendopoli Onu. Per Lamja il lieto fine è un volto ricomposto dopo delicati interventi di plastica facciale in Germania. Le cicatrici ci sono ancora, ma sfumate. Niente a che vedere con le orribili ferite che sembravano averla deturpata per sempre. Lamja è rinata e a Venezia la coraggiosa ragazzina yazida quasi sorride.
Fonte www.gliocchidellaguerra.it
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