«Sapete come funziona, sei un artista, prima te la offrono, poi la compri e a un certo punto non sei più tu. Io ero la Iena White, ma non ero più Clemente». La confessione del rapper Clementino. Che è caduto nell’abisso, ma si è rialzato
La cocaina «che mi ha sopraffatto». Il dolore struggente di chi ti sta accanto: «Quando hai un genitore che ti piange in faccia, capisci che devi smettere». La chiamata di persona alla comunità di recupero per disintossicarsi. Il percorso lì dentro: faticoso, duro, senza sconti: «Lì i ragazzi mi dicevano: “Sei un grande, sei passato da fare Sanremo a pulire i cessi in un attimo”». La consapevolezza, forse, di avercela fatta.
È la confessione di Clemente Maccaro, in arte Clementino, professione rapper, 35 anni.Già agli esordi della carriera ricordava di aver scoperto, nei primi tempi di fama tra Roma e Milano, il richiamo della cocaina. Poi, la lotta per la legalizzazione della cannabis. Ma ai suoi fan assicurava di essersi ripulito da robe più pericolose. Fino alla confessione choc di qualche giorno fa: «C’è stato un momento in cui sono stato sopraffatto dalla cocaina»
. Parole forti come rasoiate. Inaspettate, soprattutto. Clementino ne ha parlato davanti a un pubblico di ragazzi, tra i quali molti suoi fan, alla Fabbrica del Vapore di Milano durante “Storie digitali”, il festival organizzato da CultCity dedicato alle storie di successo del mondo del web. «C’è stato un momento della vostra carriera così basso in cui avete pensato di mollare la musica?», chiede lo scrittore Antonio Dikele Distefano, direttore della rassegna.Davanti a lui ci sono i rapper Clementino ed Ensi. L’artista napoletano guarda il suo collega con aria interrogativa. «Lo dico?», gli chiede, e a un suo cenno della testa si lascia andare. Quasi uno sfogo. E un monito: alla passione, alla sofferenza, al precipitare nell’abisso può seguire la rinascita, il ricominciare a vivere. A patto di volerlo davvero. «Sono uscito dalla comunità quindici giorni fa. È la prima volta che ne parlo in pubblico», dice Clementino, rapper amatissimo dal pubblico, visceralmente sudista, impegnato da sempre con le sue canzoni a difendere la terra martoriata da dove proviene. «Dalle nostre parti stiamo inguaiati», disse una volta, «visto che la cosa più famosa, a parte Giordano Bruno, la Festa dei Gigli e Clementino, è la Terra dei fuochi». La coca alla fine ha inguaiato lui. La chiama «quella merda», Clementino, senza troppi giri di parole: «Sapete come funziona, sei un artista, prima te la offrono, poi la compri e a un certo punto non sei più tu. Io ero la Iena White, ma non ero più Clemente».
Il rapper nato ad Avellino e cresciuto a Cimitile, paese di settemila anime in provincia di Napoli, racconta a ruota libera: «Se non lo dico qui con voi ragazzi, dove?», continua Clementino, che si commuove più volte ricordando i giorni più neri e disperati della sua esperienza. Succede quando racconta che non è riuscito a presentarsi alla presentazione del suo disco, Vulcano, perché «ero strafatto in casa da tre giorni» o quanto ricorda con rimpianto che «una volta non sono riuscito neanche a farmi un selfie con Jay-Z».
A fargli capire che aveva toccato il fondo sono stati i genitori. L’inversione della rotta, dunque, è arrivata da dentro, dal suo cuore e soprattutto dall’amore della e per la sua famiglia: «Quando hai un genitore che ti piange in faccia, capisci che devi smettere», rivela Clementino con tono aspro, prima di proseguire e raccontare che è stato proprio lui a chiamare la comunità di recupero per disintossicarsi. I ragazzi, commossi, applaudono. E chissà se questa nuova vita di Clementino sarà accompagnata da un tatuaggio. Ne ha dodici e di tutti ha dato una spiegazione: «Il rinoceronte perché ho la capatosta, un elefante perché mi ricorda il mio viaggio in Birmania, un panda perché il rapper bravo è in via d’estinzione, un leone sulla gamba perché quando faccio i live la gamba è il mio punto di forza, io salto e devo avere la potenza del leone, un cane con la scritta “Gescal” perché venendo dalle case popolari ho imparato a essere un mastino. E infine la tigre: perché? Perché mi piaceva. Nella vita non c’è sempre un perché».
Forse la tigre potrebbe essere, a suo modo, il simbolo di questa storia tra abisso e speranza, dolore e rinascita. Clementino ha promesso che farà un album, vuole mettere in musica un’altra storia, la sua: quella di come è facile perdersi e di come è possibile ritrovarsi.
di Antonio Sanfrancesco per Famiglia Cristiana
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