Rimasto vedovo, viveva da solo nella vecchia casa in cui aveva condiviso la vita con la sua Santina, declinendo l’invito dei figli a stabilirsi con loro.
Aveva accettato solo di farsi portare la cena a casa dai figlioli e a condividerla insieme, ma solo fino alle 20,30: «Poi lasciatemi in pace perché devo badare alle mie cose».
Una sera, verso le 22 una figlia, vedendo la porta aperta, decise di fargli visita: era estate e all’interno proveniva un borbottio sommesso. «Con chi starà parlando?» si chiese e, protetta dal buio, spiò all’interno: vide il papà seduto con la testa tra le mani e lo sentì che recitava l’Ave Maria.
Dopo aver detto la prima parte, stava in silenzio per qualche secondo per poi ricominciare da capo.
Colto di sorpresa, l’anziano non riuscì a nascondere il suo disappunto: «Ti ho detto di non disturbarmi…, non vedi che sono occupato?». «Ma se non c’è nessuno…», gli fa lei.
E lui, indicando la sedia vuota davanti a sé: «Sono in compagnia di tua madre: prima di morire le ho promesso che avremmo continuato a pregare insieme ogni sera il rosario. Così io recito la prima parte dell’Ave maria, poi sto zitto e lei risponde con la seconda.»
(Storia tratta dall’articolo “L’altra parte del rosario”, di don Davide Rota.)
Al di là di ogni facile romanticismo, l’insegnamento più bello che traggo da questa storia è che quando i nostri cari defunti ci mancano tanto, li possiamo ‘incontrare’ solo nella preghiera; non possiamo travalicare il ‘muro’ che separa questa vita dall’altra, va rispettato evitando di cercare strane (quanto pericolose) pratiche per contattarli, ma possiamo metterci, sia noi che loro, davanti a Dio e insieme pregare, come insegna da secoli la Chiesa…
Fonte fermenticattolicivivi.wordpress.com