Un lungo applauso accompagna il taglio del nastro. Si inaugura il Centro di aggregazione sociale della parrocchia di S. Maria del Pozzo ad Ardore, paese della Locride. Una palazzina di due piani, un tempo proprietà di un boss della ’ndrangheta di Natile di Careri, oggi confiscato e assegnato alla comunità parrocchiale. «Accettando questa sfida la comunità mostra il volto bello della Locride – sottolinea il vescovo di Locri-Gerace, monsignor Franco Oliva –. E una cosa del genere non è scontata in questo territorio».
Parole confermate dal parroco don Tonino Saraco. «La considero una vera e propria benedizione da parte di Dio, perché come parrocchia non abbiamo strutture per accogliere i ragazzi e poi perché per noi diventa una sfida. Il fatto che sia un bene confiscato alla ’ndrangheta diventa per noi motivo per far sì che da un bene dei mafiosi diventi un bene comune».
Don Tonino è da anni impegnato su questo fronte. E la ’ndrangheta lo sa. Nell’agosto del 2004, quando era parroco a Siderno, gli fecero trovare appesa allo specchietto retrovisore della sua auto un busta di plastica con cinque proiettili di pistola di grosso calibro e una messaggio più che eloquente: «Se continui così tutti questi colpi te li spariamo in testa ». Il motivo era un «no» a un mafioso locale. Ma il parroco non ha certo fatto passi indietro. E con l’accettazione del bene confiscato rilancia. «È un’occasione per la Chiesa per dire un no alla ’ndrangheta in modo chiaro, deciso e concreto, e non a parole». Una scelta chiara sostenuta con convinzione dal vescovo.
«L’azione pastorale non si deve svolgere nelle sacrestie ma sul territorio. Questo bene confiscato è finalizzato a rispondere alle esigenze della gente», spiega monsignor Oliva elencando queste esigenze: «In primo luogo di socializzazione, perché nel nostro territorio c’è come una paura a mettersi insieme. Poi risponde ad esigenze culturali: educazione al cambiamento della mentalità di farsi i fatti propri, educare al senso di legalità e di responsabilità, educare al bene comune, sporcandosi le mani». Ma c’è un’ulteriore e importante motivazione. «Significa ricordare le vittime della ’ndrangheta, di un comportamento violento a arrogante». E anche per questo non ci si vuole fermare qui. «È già un risultato positivo ma è un percorso che inizia. Non finisce qui. È una sfida che la Chiesa accetta per il bene della Locride».
E infatti questo è già il terzo bene confiscato assegnato a una parrocchia della diocesi. Scelte che trovano non poche resistenze, esterne e interne. Così il 25 settembre a Gioiosa Jonica, un incendio doloso ha gravemente danneggiato un villa a due piani confiscata al collaboratore di giustizia Antonio Femia, proprio mentre erano in via di definizione le procedure per la consegna del bene alla parrocchia di S. Nicola di Bari per la realizzazione di un centro di aggregazione giovanile. Un episodio gravissimo che però non ha bloccato la diocesi.
Così il 24 novembre vi è stata comunque la cerimonia di consegna al vescovo da parte del sindaco Salvatore Fuda (lui stesso vittima di alcune gravi intimidazioni). Ora toccherà trovare i fondi per riparare i danni ma, assicura Oliva, «non ci fermiamo di certo». Così come ad Africo, paesino aspromontano, dove il 25 ottobre proprio al vescovo è stata consegnata un villetta, confiscata alla cosca “Morabito-Bruzzaniti-Palamara”, che diventerà un oratorio parrocchiale. Un’iniziativa che, purtroppo, trova non poche resistenze nel paese e nella stessa comunità parrocchiale.
Ma monsignor Oliva anche qui non è intenzionato a tornare indietro. E in questo ha trovato il pieno sostegno del prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari, presente a tutte a tre le cerimonie di assegnazione. «Abbiamo bisogno – ha spiegato il prefetto – di uomini e donne che siano capaci di legge i tempi. In questo senso i beni confiscati sono simbolo di riscatto: il silenzio si sta trasformando in una roboante parola, soprattutto per le nuove generazioni, con rigore, sviluppo e educazione, per consolidare il senso civico della legalità». Qui in Locride a parlare chiaramente a fare concretamente, è la Chiesa. E come dice il vescovo «è solo l’inizio».
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it)
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