Introduzione-. Religione e denaro, denaro e religione: due termini la cui mutua relazione è spesso complicata, ambigua. Da un lato, la religione tende di solito a incoraggiare il distacco dalla felicità terrena, in favore di un benessere di ordine spirituale; dall’altro lato, la religione stessa, in quanto forma che mira a ispirare e armonizzare tutti gli aspetti dell’azione umana, deve fare i conti, a un certo punto – mai espressione fu più adeguata – con il denaro. In questo senso, anche le istituzioni che amministrano una religione – la Chiesa, ad esempio – non possono non servirsi di denaro sia al proprio interno sia nei rapporti con le altre istituzioni. La complessità di questa relazione ha fatto sì che molte religioni dedicassero un grandissimo spazio di riflessione al tema “denaro”. Nella religione del popolo di Israele, ad esempio, il Talmud è carico di riferimenti alla minuziosa dottrina del prestito monetario. Le discussioni scaturiscono da un celebre passaggio del Deuteronomio (23, 20-21): “Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualunque cosa che si presta a interesse. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese di cui stai per andare a prender possesso”.
Oro e argento-. Come l’Encyclopedia Judaica espone assai dettagliatamente sub voce “moneylanding”, questi due versetti sono stati oggetto di svariate interpretazioni, a seconda che il prestito allo straniero fosse considerato una possibilità ovvero un obbligo. In generale, nei testi sacri dell’Ebraismo e del Cristianesimo, si può attestare una certa onnipresenza del denaro, la cui rappresentazione cade sia sotto l’ideologia mistico-spirituale della negazione dei piaceri terreni, sia sotto descrizioni che assumono il denaro stesso come simbolo della potenza di Dio concessa agli uomini.Oro e argento, segni incontestati di ricchezza anche nell’epoca contemporanea, in cui il denaro perde sempre più la propria consistenza materiale, compaiono per la prima volta nel libro della Genesi, e precisamente nel passaggio in cui Abram viene presentato ai lettori (13, 2): “Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro”.
Peccato d’idolatria-. Se il denaro gioca un qualche ruolo positivo nella Bibbia, è però più facile incontrarlo in contesti di dispregio del benessere materiale. Innanzitutto, chi adora l’oro e l’argento commette peccato d’idolatria. A parte l’episodio del Vitello d’Oro, che testimonia bene dell’attitudine del Giudeo-cristianesimo verso il prezioso metallo, numerosi altri passaggi sanciscono che apprezzare il denaro è pratica pagana. Possiamo riportare il celebre versetto dell’Esodo (20, 23): “Non fate dèi d’argento e dèi d’oro accanto a me: non fatene per voi!”. Quest’ultima frase si presta anch’essa a interpretazioni diverse, e potrebbe giustificare l’uso di immagini d’oro o d’argento in guisa di offerte votive al Dio supremo.Lo stesso ammonimento si ritrova, formulato in maniera leggermente diversa, nel libro del profeta Isaia (30, 22): “Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. ‘Fuori!’ tu dirai loro”. Tra i proverbi, poi, l’inferiorità del denaro rispetto ad altri doni più spirituali è affermata perentoriamente (Pr 16, 16): “È molto meglio possedere la sapienza che l’oro,il possesso dell’intelligenza è preferibile all’argento”. Avidità, corruzione dello spiritoLa storia e i maestri del passato insegnano (il caso di Salomone andrebbe considerato a parte) che potenza dello spirito e potenza del patrimonio sono anzi sovente incompatibili. Questa inconciliabilità meriterebbe più di una riflessione, ma basti citare il grande Erasmo, in un passaggio dell’Elogio della follia: “Intanto, però, tutti gli affari della più svariata importanza vengono trattati secondo la volontà di questi asini. I loro poderi si accrescono, mentre il teologo, dopo aver dato fondo ai tesori di tutta la scienza della divinità, rosicchia lupini, impegnato in un guerra ad oltranza contro cimici e pidocchi”. Anche con il Nuovo Testamento, Gesù afferma in maniera secca e categorica l’incompatibilità di religione e denaro. Celebre è la frase, quasi sentenziale nella sua precisione, riportata sia da Matteo (6, 24) che da Luca (16, 13): “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e al denaro”. Questo concetto di una scelta obbligatoria viene ribadito, sebbene in forma meno perentoria, nella lettera di Paolo agli Ebrei (13, 5): “Che l’amore del denaro non ispiri la vostra condotta; contentatevi di ciò che avete”.
Il “Vangelo del denaro”-. Il genere della satira religiosa è fecondo in tutte le epoche, ma soprattutto nel medioevo. In particolare, riguardo alla parodia dell’amore di alcuni chierici per il denaro, due grandi studiosi tedeschi ci hanno regalato altrettanti studi di grande rilievo: Paul Lehmann, il cui saggio su Die Parodie im Mittelalter, pubblicato per la prima volta negli anni ’20, raccoglie diversi testi di grande comicità, e il monumentale Invectiva in Romam: Romcritik im Mittelalter von 9. bis zum 12. Jahrhundert, dell’erudito Josef Benzinger. La serie di esempi che testimoniano di una tale sfrenata verve satirica è praticamente infinita, e una scelta si impone. Molto bello è il cosiddetto Vangelo del denaro, che leggiamo in un manoscritto, oggi a Monaco di Baviera, del XIII secolo circa. Anche questo testo, il cui incipit porta il titolo significativo di “Initium S. Evangelii Secundum Marcas Argenti”, deforma diverse locuzioni bibliche, soprattutto neotestamentarie. La storia ne è semplice: un povero si presenta dal papa, ma coloro che ne odono le suppliche lo scacciano parafrasando At 7, 20 (“Ma Pietro gli rispose: ‘Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio”).
Conclusioni-. Un altro manoscritto della Biblioteca di Besançon, parla di un giovane studente di teologia recatosi da Leipzig a Parigi per “studiare” richiede con bella ironia più soldi al fratello vescovo rimasto in patria. Siamo nel XV secolo, ma i destini dell’uomo e dei denari paiono percorrere immutati la storia. Forse perché, come diverse religioni hanno immaginato (basti pensare alle tentazioni di Gesù, o a quelle di Antonio nel deserto), il denaro è un po’ come il diavolo, onnipresente, terribile, ma anche spaventosamente attraente. Lo sapeva bene un anonimo del XVII secolo, che a Parigi pubblicò, nel 1649, Le testament du diable d’argent avec sa mort. L’autore vi piange il diavolo denaro, morto definitivamente, e senza che alcuno ne riceva l’eredità. Oggi, la Chiesa, cerca di purificarsi per rendere credibile la testimonianza a Gesù risorto. La vera ricchezza della comunità cristiana al di là di ogni fatto storico è il Signore. Anche noi cerchiamo di rendere sempre più bello il vestito della Chiesa con le opere di misericordia, cercando sempre uno stile sobrio e semplice come quello di san Francesco, per risplendere in mezzo agli uomini come strumenti veri e credibili della sollecitudine di Dio per il mondo. DonSa